Vivere dentro una città straripante di turisti provenienti da tutto il mondo, ad agosto, è tutt’altro che scontato.
Confondersi con loro ed entrare nei tanti gioielli storici che Catania offre ai suoi visitatori è inusuale ma affascinante. Un patrimonio di storia e cultura, di tradizione ed esperienza, tra la dimensione sacra e quella più profana.
Vicoli, scorci, il suono delle campane, il ruscellare dell’acqua nelle fontane e quei profumi che vengano dalle profondità della tradizione culinaria catanese. Un viaggio improvvisato e intrigante, qualche volta persino misterioso. Tra scavi archeologici – vecchi e nuovi – antiche dimore, cupole svettanti e mercati storici.
Un passo lento, una tracolla piena di colori e matite, il desiderio di scoprire, oltre la superficie, per diventare viaggiatore, come quelli nel settecento del “Gran Tour”. Palazzi, cortili, memorie assopite, spazi densi di sacralità, roteanti e avvolgenti, lunghe prospettive verso gli orizzonti iconici della città: “u futtinu, a montagna, u mari”. Ma come un porto, un dolce approdo, una via obbligata, ogni traccia e ogni sentiero porta a quella Platea Magna che è piazza Duomo. Dove li “centro di gravità permanente” è “u liotru”, l’elegante simbolo della città, quella misteriosa creatura di pietra che nasconde segreti e liturgie.
I palazzi, la cattedrale, la fontana, il fiume, le lunghe prospettive e la porta.
Sono la mappa, l’isolario di questo paesaggio della memoria, di questa grande festa urbana, il punto di convergenza di ogni storia. Dall’architetto della ricostruzione post terremoto G.B. Vaccarini al Conte Ruggero il Normanno, dal Cardinale Dusmet a Sant’Agata, da Demetra al grande musicista Vincenzo Bellini. Sono solo alcune delle comete che hanno attraversato questa piazza, questo luogo; curvando la storia della città per sempre. Le loro anime, il loro spirito è pur sempre presente ancora oggi, in questo momento, tra le vie di questa città incastonata tra il mare e la montagna, attraversata da un fiume uterino (l’Amenano), lambita da un mare azzurro come il cielo. Ma la storia diventa misteriosa dopo l’arrivo a palazzo, quello fondato sulla marina, dalla facciata antropomorfa.
Palazzo Biscari – una delle tappe di questo viaggio – ci regala una sorpresa, forse un intrigo. Accogliente, aristocratico, sontuoso, ricco di ogni bellezza, dentro le sue stanze e dalle sue finestre. Stucchi, decori, drappeggi, damascati, reperti, tele, sculture, storie antiche e intriganti. Un atlante senza fine, ma visibile solo in parte. Un percorso che dalla corte ci porta fino alle sue terrazze di mezzogiorno, quelle verso il mare, oggi negato dalla ferrovia e dal porto. Un percorso denso di storia, di ricordi, di uomini e donne della famiglia Paternò-Castello.
Le guide sono dolci fanciulle, che come ninfe ci accompagnano nelle stanze del palazzo fino al salone dell’orchestra, un capolavoro di arte e architettura tardo barocca, il fulcro del palazzo, una porta verso il passato, una danza immaginifica che disegna ellissi sempre più grandi sul pavimento di Vietri. Una sintesi espositiva, un campionario di architettura e arte che celebra la “famiglia”, la colloca nel Pantheon dell’aristocrazia catanese e sancisce una gerarchia, a partire dalla fondazione del palazzo, sulle mura di Carlo V, come segno di potenza e di sacralità. Dalla sua terrazza si gode la vista della cattedrale con le sue absidi normanne, della chiesa di Santa Agata alla Badia, e in fondo, quella cupola svettante che segna la presenza dei benedettini sull’antica acropoli di Catania.
Ma dentro questo viaggio appare come un fantasma un uomo.
Elegante, sobrio, flessuoso, filiforme, sornione come un gatto. Ci coglie nell’istante in cui i colori e le matite raccolgono i ricordi, le sensazioni. Ci accompagna silenziosamente dentro un’ala del palazzo non visitabile, dentro un ambiente familiare ma pur sempre monumentale fatto di libri, colonne, pitture contemporanee, tracce di antiche rovine. Dentro due corti segrete con giardini esotici al riparo dagli sguardi indiscreti. Ci parla di famiglia, di madri e di padri, ci mostra foto in bianco e nero e ci racconta della Regina Elisabetta, la Regina Madre. Del suo illustratore al seguito e quindi dei tanti e celebri ospiti del palazzo, come Vincenzo Bellini e Goethe. Sfiora le storie di Vincenzo e Ignazio Paternò Castello, (IV e V Principe di Biscari) i collezionisti di reperti antichi, quelli che hanno raccolto da Pompei al territorio catanese le testimonianza dell’antichità. I promotori del primo museo cittadino, oggi quasi tutto a Castello Ursino.
Ma quell’uomo all’improvviso sparisce e mi ritrovo nella corte dove prima disegnavo. Chiedo e cerco di sapere, freneticamente domando alle ragazze che guidano i turisti alla visita dell palazzo chi fosse quell’uomo ma la risposta è imbarazzante: nessuno lo conosce, come se fosse stato un fantasma.
Eppure era tutto reale, visibile. Qualcuno accenna a una strana presenza, a un antenato che vaga nel palazzo e che ogni tanto offe un caffè a qualche visitatore. Forse ho solo sognato?
Un discendente di Roberto d’Ebrun, il capostipite della famiglia, che per meriti in battaglia al tempo di Ruggero nelle terre di Paternò diede il nome alla casata che poi imparentata con i Castello divenne Paternò-Castello. Uno strano mistero, pare che il fantasma che credo di aver conosciuto fosse un certo Ruggero, forse della famiglia Moncada. Al prossimo visitatore il compito di scoprire e verificare questo intrigo, ma resta la sensazione di aver vissuto almeno per un attimo in un tempo passato, ricco di bellezza ma anche di tragedie, tra guerre, intrighi, rivoluzioni e tanta nostalgia. Un racconto epico sulla storia di questa terra, della Sicilia, del Mediterraneo, dell’Italia e dell’Europa. Un viaggio, questo a Catania, che ha bisogno di un ritorno, di un approfondimento. Magari alla ricerca di Ruggero Moncada e della sua famiglia, ormai rimasto uno degli ultimi aristocratici “storici” della città di Catania.
Ma che carino non lo avevo ancora letto.
Il fantasma