La storia è conosciuta da tutti.
Gli angloamericani sbarcano in Sicilia con l’obiettivo di arrivare a Roma, attraversando tutta la penisola. Ci vorranno altri due anni prima che finisca la guerra (aprile, 1945) ma la Sicilia, abituata a essere conquistata e abbandonata ormai da secoli, vive la sua ennesima festa della liberazione nell’estate del ’45. Ennesima, perché dai siculi agli angloamericani, la storia della Sicilia è una successione infinita di attraversamenti, arrivi e partenze di popoli ed etnie, di personaggi e idee; isola come sempre, luogo accogliente e inospitale, porto di mare in mezzo al mare.
Dai siculi agli angloamericani e in mezzo: micenei, greci, romani, ostrogoti, bizantini, arabi, normanni, svevi, francesi, spagnoli, toscani, veneziani, dalmati e svizzeri, genovesi, lombardi e laziali ma soprattutto campani. Commercianti, mercenari, banchieri, artisti, uomini d’affare, nobili e sacerdoti. E ancora: Platone, Adriano, Cicerone, Federico II, San Francesco, Papi, Sultani, scienziati e poeti.
Da nord verso sud, da Palermo e Messina, verso le parti più interne di questa isola-continente. Dentro un’isola dove abitano gli dei, dove nascono le leggende, dove tutto è magia.
Tranne nel luglio del ’43.
Per la prima volta non più da nord verso sud ma viceversa, da sud verso nord. I sentieri, le strade, i ponti e le città, le valli e i fiumi, che fino a quel momento erano stati attraversati per conquistare l’isola, per la prima volta vedevano un esercito avanzare al contrario anche se pur nello stesso solco di sempre. Lungo quella strada che oggi viene chiamata “Fabaria” – una via Francigena che collegava Agrigento a Messina, intercettando la via che proveniva da Siracusa – l’esercito Americano (da Gela) e Inglese (dal Siracusano) ripercorre al contrario le vie che conducevano alla conquista dell’isola, incrociandosi come da secoli a Lentini (oggi Sigonella).
La storia si ripete, i sentieri della guerra e degli dei, accolgono uomini e armi, speranze e certezze, forse consapevolmente (almeno per George Patton, forse meno per Bernard Montgomery). In questo contesto matura il bombardamento di Paternò e con essa anche le città lungo l’antica Fabaria. A Lentini, crocevia strategica, si uniscono gli eserciti, provenienti da sud e da ovest, dalle zone di Siracusa e di Gela, dove ebbe inizio la fase delle “tirannidi” siracusane con Gelone, Ierone e Dionisio, tra il VI e il IV secolo a.C., quando questi governavano gran parte della Sicilia.
Da Lentini – quella che oggi sul piano militare chiamiamo Sigonella (tutto torna) – si doveva raggiungere Catania, per poi – lungo la costa – conquistare Messina. Sembrava la strada più ovvia nel 1943, ma non era cosi. Lo sapevano gli antichi, lo sapevano i generali dell’antichità, lo sapevano i sacerdoti e i mercanti. Lo sapevano anche i tedeschi e per questo, l’azione angloamericana, nel tentativo di raggiungere Catania, ha registrato molte perdite nel tentativo di attraversare il Simeto (zona foce) per arrivare a Catania, perdite di uomini e di tempo, di risorse e di morale.
Non restava che ripercorrere l’antica via che da Lentini portava a Paternò, l’antica Hybla Major, per poi proseguire verso Adrano, Maniace, ecc. fino a Messina, lungo quella via, che era un tempo, la dorsale principale per collegare Agrigento e Siracusa al grande porto di Messina. Ma per fare questo era necessario bombardare preventivamente le città che si incontravano di volta in volta e per questo Paternò ha ricevuto la medaglia d’oro al valor civile. Per il suo tributo, in termini di vittime.
Alcune questioni sono tutt’oggi misteriose.
Come mai tante vittime? Perché la popolazione non fu avvertita in tempo? Ammesso che sia vero che non sia stata avvertita. In molti accusarono il Podestà, il governo cittadino, ma non ci sono certezze in tal senso, anzi qualcuno parla proprio del contrario. In questo senso, lontani da partigianerie, bisognerebbe svelare il mistero. Il dato certo è che gli aeri, lungo una precisa rotta di volo, sganciano le bombe lungo una traiettoria che unisce l’area dell’attuale villa comunale (al tempo ospedale da campo, dove muore il sacerdote Vincenzo Ravazzini), con la parte alta della via Vittorio Emanuele, “chianu” Urna (zona quattro canti), zona Montecenere e la parte sud della zona Ardizzone. Una linea di volo mortale per tanti paternesi, che vengono uccisi come nella città spagnola di Guernica nel 1937 (Pablo Picasso per questo ci ha regalato una delle più belle opere d’arte, La Guernica, esposta a Madrid al Museo Regina Sofia).
Alcune storie, conseguenza di questa carneficina non vengon mai raccontate. Per esempio che molti cadaveri furono raccolti in fretta dalle strade e sepolti in fosse comuni nelle campagne di Belpasso, caricate su camion senza che i parenti potessero piangere i loro cari. Anche in questo senso andrebbe fatta chiarezza. Ma pochi sanno che il destino dei conventi di San Francesco e di quello delle Grazie (oggi usato impropriamente come cimitero) sull’acropoli sono legati a questa tragedia.
Il primo era stato indicato come luogo provvisorio per la sepoltura dei morti del bombardamento, ma misteriosamente (forse l’influenza della famiglia che lo possedeva) si optò per il monastero delle Grazie, più vicino al nuovo cimitero (nuovo perché nato nel 1888). Le delibere parlavano di sepoltura provvisoria e urgente in attesa di migliore collocazione ma cosi non fu. Ancora oggi questa ferita è aperta e meriterebbe l’attenzione di tutti per restituire alla comunità un bene culturale prezioso. Ma questa città – impegnata spesso nel nascondimento – usa i cimiteri per nascondere la storia come fece nel 1884, quando coscientemente, l’allora consiglio comunale formato dai nobili della città, decisero di seppellire i resti archeologici della città di Hybla Major per sempre, pur consapevoli e avvertirti più volte (con nove anni di dibattiti e contrasti ) dall’allora dirigente tecnico del comune di Paternò, ma il resto della storia è sotto gli occhi di tutti.
Quest’anno, come orma da molti anni, si celebra la ricorrenza nella villa comunale – ricorrendo tra l’altro l’ottantesimo anniversario (1943-2023) ma sembra quasi una cerimonia per pochi. Come se non interessasse più nessuno. Una scarna rappresentanza politica e amministrativa, pochi rappresentanti delle associazioni partigiane e militari e l’assenza di tutte le associazioni, dei cittadini, degli studenti, della comunità. Dispiace dirlo ma non c’era nessuno, non c’era la città. Forse qualcuno, si intravede dalle foto ma nessuna testimonianza, nessun evento di rilievo, nessuna pubblicazione; per vedere qualcosa dobbiamo andare a Catania, alle Ciminiere.
Dobbiamo ringraziare Ezio Costanzo, che come regista e storico ci ripropone sempre i fotogrammi di questa tragedia, offendo a tutti noi l’opportunità di non dimenticare. Quella giornata maledetta merita un approfondimento più attento, forse qualcosa di più di una visita alla lapide commemorativa e la città guarda la lontano, tutta la città. Quella villa comunale merita un memoriale e le attenzioni più raffinate per renderà viva e memoria vivente, invece di lasciarla in mano all’improvvisazione, in quanto luogo sacro della memoria collettiva.
Ho letto con interesse l’articolo di cui sopra e concordo con l’autore su tutto e aggiungo che è vergognoso vedere e leggere che ce stata una scarna rappresentanza della Politica e delle associazioni combattentistiche, erano presenti l’ANMI (associazione Marinai d’Italia) associazione dei Finanzieri, ma la cosa più grave è stata la totale assenza dell’ANPI di Paternò (neo costituita qualche giorno prima delle elezioni Politiche 2022) per manifestare contro la prevista vittoria del centro destra. Questi neo o Pseudo Partigiani paternesi con a capo il presidente si devono vergognare.