Country Front. Dalla dismissione alla rigenerazione nella Valle del Simeto

Valle del Simeto

FICO è il nuovo format di Oscar Farinetti, (patron di Eataly) un parco agroalimentare nella periferia di Bologna. Centoquaranta milioni di investimenti; un manager come Andrea Segrè; la prestigiosa firma dell’architetto Carlo Ratti. L’intervento – che recupera vecchi fabbricati e mette in produzione circa 100.000 mq di terreno – si propone come nuovo modello di rigenerazione della filiera agroalimentare, per rilanciare il mady in Italy e le nostre eccellenze produttive. Molte le condivisioni e gli apprezzamenti dell’iniziativa – pensata e progettata più di cinque anni fa – ma anche polemiche e accuse su un format, che secondo gli scettici non corrisponde alle esigenze del comparto agricolo e alimentare.

L’interno di Fico (fonte web)

Era prevedibile che non ci fosse piena convergenza, siamo per formazione culturale resistenti a ogni innovazione. Al di là della formula e del suo promotore, ci sono alcune questioni che andrebbero comunque studiate e esportate.

Il coordinamento e la centralità di un intervento che punta alla valorizzazione di una filiera produttiva; la dimensione smartcountry del sistema; la forza mediatica e promozionale dei prodotti italiani; il recupero di edifici e terreni dismessi della periferia bolognese. All’interno di questo “parco” sono localizzate tante altre funzioni come quelle culturali, logistiche, ricettive, della mobilità e della ricerca. Non mi sembra poco.

Il nostro territorio potrebbe candidarsi ad accogliere una strategia simile. La valle del Simeto ha bisogno di un progetto innovativo che si proietti come incubatore e catalizzatore in chiave mediterranea e più specificatamente come polo agroalimentare del SUD. Lo spazio – tra la stazione di San Marco e quella di Schettino – è il campo di azione di questa visione. Lungo la linea ferrata che collega Catania a Regalbuto (anche se la parte finale è dismessa) si susseguono tante opportunità di rigenerazione e riconversione ma nel tratto afferente a Paternò e Santa Maria di Licodia si concentrano aree e fabbricati che potrebbero accogliere un parco agroalimentare servito dalla mobilità pubblica direttamente collegato al porto, all’aeroporto e a Catania.

Un tratto della ferrovia Motta S.Anastasia – Regalbuto

Dalla Stazione internodale di Motta Sant’Anastasia si susseguono alcune polarità strategiche che giustificano questo approccio: il campo da baseball, l’area industriale e artigianale di Paternò, l’acropoli e le aree archeologiche, il sistema dei mulini connesso alla città di Paternò, la stazione di San Marco e Schettino fino a Carcaci. Appare chiaro che questa dorsale è vocata a potenziare e sostenere il rilancio della valle e delle eccellenze che su di essa operano. Agricoltura, artigianato, industria, patrimonio culturale e natura. Tutto esaltato da una potenziale accessibilità pubblica e giustificato dall’esigenza di connettere Catania (area di stoccaggio di protezione civile) con le aree interne (Paternò ecc.) in caso di terremoto.

Tra il 2010 e il 2012, in uno dei laboratori di Progettazione della scuola di architettura di Siracusa, si sono sviluppati progetti di parco agroalimentare all’interno dei corsi, che prefiguravano scenari analoghi all’esperienza di FICO. Sempre nel 2012 una tesi di laurea – di S. Ronsivalle – approfondiva proprio questo tema nell’area dell’ex cartiera.

Recenti interviste, a cultori della valle del Simeto e produttori di beni e servizi, hanno evidenziato la necessità di uscire dalla dimensione onirica e idealizzata di modelli di sviluppo impraticabili – in riferimento al mercato e alle vere esigenze dei produttori – per intraprendere nuove vie che propongano progettualità concrete e innovative. Qualcuno propene la messa in funzione della ferrovia Catania-Assoro (cit. N. Tomasello); chi parla di turisti che vengono solo per Etnapolis e Etnaland e non per la valle, a dimostrazione che serve una nuova polarità attrattiva e competitiva (cit. F. Busetta); e come queste molte altre sollecitazioni come quella legata alla sicurezza del territorio agricolo e alla sua infrastrutturazione (cit. G. Sarpietro); senza dimenticare la questione degli impianti di compostaggio alla micro scala per il consumo della valle (cit. P. Lo Bianco)

Lo scenario possibile è già definito e serve una convergenza. Politica, tecnica, economica. La possibilità di realizzare un parco agroalimentare nel tratto di territorio tra la stazione di Schettino e quella di San Marco, utilizzando il patrimonio esistente di terreni e fabbricati, compresa la linea ferrata che servirebbe per collegare i poli culturali, sportivi, produttivi e naturalistici direttamente con il porto/aeroporto e la città di Catania.

Un progetto concreto per rilanciare la valle e in questo senso sarebbe utile costruire un tavolo di imprenditori per studiare meglio il modello FICO (anche criticamente) per estrapolare i giusti dispositivi da esportare in questo distretto. Investire nel futuro significa anche aprirsi a buone pratiche e guardare la valle come ombelico di un ambito culturale e produttivo più ampio. Questo non esclude ciò che è stato fatto fino ad oggi ma lo include – rilanciandolo – all’interno di un progetto e di una visione più ampia, più innovativa, più mediterranea e più sostenibile, che costituisce quindi un modello di sviluppo possibile. Gli agricoltori, e più in generali i produttori della valle compresi gli operatori turistici, troverebbero quella vetrina e quell’incubatore che – pur rispettando modalità e politiche di produzione sostenibili e green – offrono un nuovo mercato internazionale e competitivo. Non mi sembra poco.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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