Il lavoro dei pontieri, il pressing di Marina, Pier Silvio e Gianni Letta, e alla fine la telefonata che ha ristabilito il sereno.
Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni si vedranno oggi nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa a Roma. L’appuntamento (che dovrebbe essere intorno alle 16) è stato fissato dopo un lungo colloquio telefonico durante il quale è stato ristabilito un canale di comunicazione, scevro da `appunti´ a favore di telecamere e con un punto fermo a cui anche il Cav ha dovuto piegarsi: Meloni è la leader del centrodestra e in questa veste sarà premier, se Sergio Mattarella le conferirà l’incarico. A dimostrarlo la location dove sarà certificata la `riappacificazione´ – dopo lo strappo di Forza Italia sull’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato – non Villa Grande, non una sede istiruzionale, ma il quartier generale della leader di Fdi, in pieno centro storico e proprio tra Palazzo Madama e Montecitorio. Un evento che riporta la memoria al 2014, quando il presidente azzurro entrò al Nazareno per incontrare Matteo Renzi.
La premier in pectore ha trascorso il week end in famiglia – lontano dai riflettori – impegnata sui dossier più urgenti che dovrà affrontare una volta varcato il portone di Palazzo Chigi e, perché no, anche per dedicare del tempo alla piccola Ginevra. La squadra per ora è in stand by, si attendeva un segnale da Berlusconi che alla fine è arrivato. Il pressing dei figli, Marina e Pier Silvio, e dell’amico Gianni Letta, hanno sortito il risultato sperato e oltre a convincere l’uomo di Arcore, hanno anche facilitato il passo indietro di Licia Ronzulli. Nessun incarico di governo ma, da quanto filtra, neanche una posizione in prima linea nel partito come coordinatrice.
Rompere con Meloni «non conviene a nessuno», è il messaggio risuonato forte e chiaro nel quartier generale in Brianza, e il Cav, secondo quanto viene riferito, sarebbe sceso a più miti consigli rinunciando alla casella su cui aveva puntato con più tenacia: la Giustizia. Il `no´ di Meloni è noto, la sua prima scelta resta Carlo Nordio, e poi c’è la contrarietà a mettere mano alla legge Severino: Fratelli d’Italia, infatti, non aveva sostenuto il quesito referendario che ne chiedeva l’abolizione, pertanto impossibile che possa consegnare il dicastero di via Arenula a un partito che avrebbe questa missione. Al partito azzurro, dunque, oltre alla Farnesina per Antonio Tajani, potrebbe arrivare la Cultura probabilmente con delega all’editoria (Alberto Barachini), l’istruzione e Università (Anna Maria Bernini) e la Pubblica amministrazione (Elisabetta Alberti Casellati). Nessuna ritorsione, quindi, da parte di Meloni nei confronti di chi in Senato non ha votato Ignazio La Russa presidente, ma non sarà consentita alcuna mira sul Mise da parte degli azzurri, perché quel dicastero è destinato a Guido Crosetto.
Intanto prosegue il botta e risposta tra Meloni e il Pd. Oggi il vice segretario dem, Giuseppe Provenzano, è tornato a contestare l’elezione dei presidenti di Camera e Senato: «La legislatura è partita nel peggiore dei modi possibili con scelte che hanno diviso e indebolito il Paese e anche la maggioranza». Dura la replica della leader di Fdi: «Gli attacchi scomposti della sinistra negli ultimi giorni rappresentano un vero e proprio insulto ai cittadini che hanno scelto da chi essere rappresentati. Capisco che per questi esponenti possa sembrare quantomeno anomalo vedere dei partiti che hanno la possibilità di governare con l’appoggio degli italiani, (non ci sono abituati) ma che piaccia loro o meno, questa è la democrazia». Meloni è consapevole che quello del governo sarà «un percorso pieno di ostacoli» ma, assicura, «daremo il massimo. Senza mai arrenderci». La sinistra, dunque, si metta «l’anima in pace: siamo qui per risollevare la nostra Nazione», avvertimento.