Ormai ci siamo, la lunga stagione elettorale – cominciata in primavera – volge al termine.
Amministrative, regionali e politiche hanno impegnato i cittadini di Paternò in una estenuante competizione senza fine.
Da giugno ad oggi tutto sembrava sospeso, quasi anestetizzato.
Ogni strategia comunicativa era curvata per ottimizzare il passo successivo. Il risultato finale, ci restituisce uno scenario interessante sul piano prospettico.
Il sindaco Nino Naso vince e comincia a costruire da subito una maggioranza fragilissima, ma deve fare i conti con gli impegni regionali (i tanti candidati afferenti alla sua coalizione politica) che pressano e rischiano di inquinare i pozzi. Poi c’è quel centrodestra che consolida le posizioni – regionali e nazionali – con Gaetano Galvagno e Francesco Ciancitto.
Alla Regione potrebbe anche andare la pentastellata Martina Ardizzone, restiamo in attesa delle possibili evoluzioni.
A questo punto, dopo la conclusione delle procedure insediative – come la presidenza del Senato di Ignazio La Russa, che sembra rafforzare l’asse di centrodestra in città – non ci rimane che riavviare la politica del “fare”, anche se l’ultimo tassello deve ancora arrivare dalla Regione, con Gaetano Galvagno chiamato forse a ricoprire un ruolo apicale nel delicato equilibrio regionale.
Fino ad oggi il silenzio di maggioranza e opposizione, la mancanza di una dialettica aperta e serrata tra le parti, il galleggiamento delle idee che non trovano terra e il quadro nebuloso in consiglio comunale ci lascia tutti perplessi in attesa della vera ripartenza della macchina amministrativa. Come se tutti volessero aspettare le bocce ferme per decidere cosa fare e da quale parte stare. Speriamo di sbagliarci.
Alcune riflessioni vanno fatte.
La politica deve dare risposte alle diverse scale, da quelle afferenti a questo territorio; alle grandi sfide a cui è chiamata la Regione Siciliana e a quelle relative alla crisi del Paese Italia. Mai come adesso la città di Paternò è ampiamente rappresentata, anche se prevalentemente da un solo colore politico. Appare chiaro che la polverizzazione della sinistra – in questa città più che altrove – non è utile nemmeno alla destra; se si vuole garantire un vero processo democratico non si può fare a meno dell’opposizione. Nemmeno si può andare avanti guadati solo dall’intuito e dalla forza d’inerzia di questo momento politico che spinge la destra al potere. Serve un progetto credibile, riconciliante e competitivo. La creazione di una costellazione di azioni strategiche che dimostrino il senso di responsabilità e di competenza che è stato sbandierato in campagna elettorale. Non è facile ma il centrodestra a trazione Giorgia Meloni sarà il governo più monitorato della storia della Repubblica. Forse uno stimolo a far bene, forse l’occasione per evolvere lo stesso concetto di centro destra in Italia e per l’Europa. Al netto dei pregiudizi – che la storia impone – oggi serve ottimismo, fiducia e prudenza nella valutazione. Certo se le opposizioni invece di ritrovare quel rapporto perso con l’elettorato, con i lavoratori, con i bisogni della gente, disegnano omini neri ovunque, gridando allo scandalo, al massimo rischiano di riesumare le ombre dei fanatismi ideologici “armati”. Strumentalizzando la paura del popolo che deve fare i conti con una crisi reale multicolore.
La stessa cosa si potrebbe dire a tutti i livelli.
Anche a quello comunale. Le opposizioni devono fare il loro lavoro, di vigilanza, di controllo, d’indirizzo. Attenti alle possibili incongruenze di chi governa e sensibile alle possibili condivisioni con la maggioranza. Se così non fosse rischiano di essere inghiottiti dal “nasismo” come è stato recentemente a giugno. Fratelli d’Italia – all’opposizione – ha saputo capitalizzare sul piano politico ed elettorale il dissenso. Se a Paternò, l’opposizione si modella plasticamente all’attuale morfologia politica rischia di essere ancora una volta cancellata. In fin dei conti Nino Naso è stato l’opposizione dell’opposizione. Ha incarnato meglio la politica del dissenso attirando le simpatie del 25% della popolazione e gli è bastato per vincere. A questo punto meritatamente, visto che ad oggi le opposizioni sono in attesa di non si capisce cosa. Eppure, c’è tanta carne al fuoco. Se l’opposizione si appiattisce silente e maliziosa, allora siamo alla fine della corsa, allora meglio cambiare lato del campo.
Lasciamo governare chi ha vinto, ma incoraggiamo chi ha perso a non mollare.
La democrazia esige questo. Se possiamo esercitare in libertà questo diritto, significa che non ci sono grossi pericoli. Ma se ci fosse un barlume di omologazione, di intolleranza, di restrizioni della libertà personale, di liste di prescrizioni, di monopolio delle idee, o la mancanza di argomentazione per far posto alle urla e alle violenze; allora, dobbiamo già pensare che è utile scendere in piazza per manifestare. Il rischio è sempre l’apatia, l’indifferenza, il conflitto d’interesse, la depressione sociale ed economica, tutto quello che ha provocato l’astensionismo.
La città di Paternò può e deve risorgere e ha l’opportunità di farlo. Deve trovare la forza per raddrizzare un percorso che sembrava ormai irrimediabilmente compromesso e che adesso può ritrovare nuove linee di sviluppo. La politica però deve impegnarsi in due fronti: diventare incubatrice di una nuova classe dirigente e sostenere le iniziative che possono generare nuovi modelli di sviluppo, all’interno di un percorso ecologico, innovativo, legale e solidale. Le giovani forze che hanno iniziato un percorso politico, quella generazione di trentenni e quarantenni che hanno “studiato” e “praticato” la politica, l’impegno sociale, solidale, la militanza culturale e produttiva, hanno il dovere di rimettere in corsa questa città. Guai a perdere questa occasione. Ma serve una certa coerenza, a partire da chi ha deciso di rappresentato l’altra voce, l’opposizione, l’alternativa, una idea diversa. Restiamo in attesa di nuovi eventi. Lasciamo gli sciacalli, le iene, le bande bassotti e i questuanti fuori da questo perimetro culturale e politico. Serve una visione di rete di scopo e non un recinto d’interesse.