«Si capisce perfettamente che siamo di fronte a una persona che non sta bene e che era tutto tranne che molestata» e quella di ieri è «una delle pagine più vergognose del giornalismo italiano degli ultimi anni».
Carlo Calenda scende in campo a difesa di Matteo Richetti, il senatore accusato di molestie da Ambra – nome di fantastia – intervistata da Fanpage. «No, non so dove sia mai accaduto, nella storia di una democrazia occidentale, che si intervisti una persona anonima, su una denuncia mai fatta all’autorità giudiziaria, relativamente ad accuse non verificate a un senatore della Repubblica, in campagna elettorale», rincara la dose. L’inchiesta oltre a raccogliere la testimonianza della donna pubblica alcuni messaggi che Richetti – presidente di Azione – avrebbe scambiato con Ambra, oltre a rendere visibile il volto parziale del politico «facilmente riconoscibile» denuncia il partito, senza mai pronunciare il suo nome. «Oggi abbiamo mandato a tutti i giornalisti l’atto di denuncia di 12 mesi fa che reca i messaggi che questa signora ha mandato al senatore Matteo Richetti», annuncia Calenda. «Fanpage era perfettamente avvertita della situazione, con tanto di riferimenti di chi si stava occupando delle indagini e ha deciso di ignorarlo», la stoccata.
Una tegola che cade in piena campagna elettorale e il partito non ci sta anticipando di aver dato «mandato ai propri legali per procedere in sede civile e penale nei confronti della testata, del direttore responsabile e degli altri soggetti responsabile per gli articoli e i video diffamatori nei suoi confronti pubblicati in questi giorni». Richetti non si nasconde e da Parma, mentre prosegue il suo tour con al suo fianco il leader ed ex ministro, si difende: quei messaggi «io non li ho mai pensati, ideati, inviati e questa non è la versione di Richetti, questa cosa è riscontrabile in un minuto». Il senatore di Azione, che definisce questo un racconto «anonimo» e «distorto, che mi sta tagliando la carne addosso», ribadisce, più volte, di averci messo la faccia: «Io sono qui, mi chiamo Matteo Richetti, vivo a Fiorano, ho 48 anni, ho un nome e un cognome e ho denunciato, da un anno, alla procura di Roma, dicendo che c’è una persona che sta perseguitando me, i miei figli, che mi dà del pedofilo e che mi scrive».
E lamenta: «Ma possibile che non ti venga di dire, con un’accusa così importante, `andiamo a verificarla´? Questa persona dice: `sono entrata nell’ufficio di Richetti e la segretaria mi ha detto ´stai fuori che quello è un maniaco’. Ma la mia segretaria ha un nome e un cognome: andateglielo a chiedere, interrogatela».
Al termine del suo discorso, Richetti rimarca la sua posizione, attribuendo all’informazione la responsabilità del mancato riscontro della verità. «Cosa informi se non riscontri che cosa è accaduto? Diventi complice di una cosa enorme, che non è solo la diffamazione, ma è la distruzione delle persone – conclude -. Sapete perché è accaduto tutto questo? Perché mancano pochi giorni alla fine della campagna elettorale».