La questione dell’accoglienza dei migranti è al centro del dibattito cittadino o almeno così sembra. Al di là delle strumentalizzazioni e delle accuse, tra chi vorrebbe evitare l’arrivo dei migranti e chi invece lo auspica, si profila la necessità di riflettere su alcune questioni – come definire il significato di accoglienza. In pratica si tratta di costruire un “fare” comune che non sia demagogico, da una parte e carico di pregiudizi, dall’altra.
Cosa significa accoglienza? Chi si occupa di accoglienza? “Non siamo pronti” – qualcuno dice. Ma nello stesso momento, altri s’indignano per la resistenza di alcune amministrazione ad accogliere extracomunitari.
Alcune considerazioni in premessa. Le migrazioni esistono da sempre. Esisteranno per sempre e il processo di urbanizzazione – dalle aree periferiche (del mondo) – verso le grandi città è cosa fatta. Il problema è più complesso. Nelle stime dei demografi, le grandi città del mondo e le regioni più sviluppate, saranno sempre più oggetto di fenomeni di migrazione. La composizione della popolazione sarà sempre di più multietnica, multiculturale e multiconfessionale. Come l’antica Roma, come la Sicilia – se si pensa agli arabi, ai bizantini, ai normanni – e se vogliamo possiamo citare anche New York, Londra, Parigi, Berlino, Madrid, Milano, solo per annotare alcune delle grandi capitali occidentali.
Senza le migrazioni – dicono sempre i demografi – non avremmo avuto il progresso genetico della specie umana, non avremmo avuto molte civiltà e straordinarie opere di arte e architettura. Persino le popolazioni scandinave, sono discendenti di uomini e donne venuti dall’Africa milioni di anni fa. Il Mediterraneo è una delle più grandi città del mondo (era il mondo conosciuto) sulle cui acque si affacciano milioni di esseri umani – qualche volta ai margini della civiltà e qualche volta immersi nell’opulenza (apparente) della nostra società.
Mi viene in mente l’illuminato Federico II di Svevia con la sua corte. Ospitava arabi, ebrei e cristiani. Come Ruggero II e i re normanni. Penso alla società che viveva a Toledo prima del XV secolo, dove tutti i popoli convivevano pacificamente. Insomma non mancano gli esempi nella storia di convivenze pacifiche e produttive. Sin dal mito di Europa, dalla Siria si sono spostati milioni di uomini e donne verso la Sicilia, l’Italia e i paesi del nord Europa. El Greco, Dedalo, Ulisse, Enea. Sono gli uomini simboli di questo fenomeno antico. La migrazione verso nuove terre.
Allora cosa sta succedendo adesso? Credo proprio che bisogna ripartire dal significato di accoglienza e integrazione. Cominciare a pensare alla “giusta misura” – cioè l’equilibrio tra il territorio che accoglie e il numero di accolti. Inoltre bisogna cominciare a pensare a strutturare le nostre città – non tanto per accogliere qualcuno in particolare ma per accogliere e basta. Accogliere nel senso che la città deve offrire opportunità.
Le modalità di accoglienza, che offre in questo momento l’Europa sono discutibili. “Rinchiudere” dentro centri di (pseudo) accoglienza tanta carne umana è umiliante. Se si passa dal Cara di Mineo di comprende la contraddizione e l’incongruenza del sistema. Sembra che sia più uno strumento per arricchire gli ospitanti che dare dignità agli ospitati.
La città deve programmare l’accoglienza per essere inclusiva, solidale e produttiva. Abbiamo bisogno di “governare” la migrazione e non subire. Per questo bisognerebbe studiare un piano di accoglienza più strutturato. Un piano che sia un’opportunità di crescita, di sviluppo. Ovviamente ci vuole tempo ma soprattutto volontà politica.
Le città di questo comprensorio non sono capaci di ospitare nemmeno l’immigrazione interna, hanno perso quell’attrattiva che negli anni ’60 e ’70 le hanno fatto crescere fuori misura. Prive di molti servizi, sconnesse con le aree interne e costiere (almeno secondo gli standard europei), in pratica diventate dormitori del nucleo più attivo che è Catania.
In questo senso andrebbero approfonditi i temi della “casa” – non tanto in chiave speculativa ed estensiva – ma pensando ad alloggi minimi per anziani, giovani coppie e immigrati, magari recuperando quel patrimonio immobiliare, che sono le case terrane in centro storico. Se dovessimo chiedere finanziamenti per l’immigrazione forse potremmo chiederli per recuperare il patrimonio edilizio abbandonato al fine di recuperarlo. Se i privati dovessero avere l’opportunità di accedere a finanziamenti per l’immigrazione si potrebbe incentivare chi lo fa recuperando patrimonio immobiliare abbandonato nei centri storici.
Ma penso alla dignità degli immigrati. Le amministrazioni potrebbero predisporre progetti di integrazione a partire da quei lavori di manutenzione della città (buche, pulizia, cura del verde ecc.) che renderebbero gli uomini e le donne (tutte, di ogni colore e provenienza) dignitosamente integrati, senza “togliere” nulla a nessuno. Basterebbe ri-indirizzare i fondi europei ad hoc in questa direzione. Volontà politica? Programmazione? Si. Se non si vuole fare solo demagogia convulsiva da ambo le parti. Ovviamente questa non è la sede per approfondire i temi ma mi sembrava utile offrire un diverso punto di vista.
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