Altro che schiarita. Il vertice di centrodestra, atteso da oltre tre mesi, si trasforma in tempesta.
Dopo numerosi rinvii, ufficialmente a causa del mancato incrocio delle agende, Silvio Berlusconi riesce nell’impresa di far sedere al tavolo di villa San Martino Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma la reunion di Arcore non produce gli effetti sperati. Al termine dell’appuntamento, infatti, il presidente di Forza Italia e il segretario della Lega, esprimono soddisfazione, ma a gelare tutti – e a provocare sorpresa e irritazione da parte del Cav – è la nota del partito di Giorgia Meloni da cui emerge un netto malcontento, in primis per i continui rinvii legati alla riconferma del presidente della Sicilia Nello Musumeci. Secondo quanto si apprende, Meloni si aspettava di chiudere sul governatore uscente, ma alla fine il discorso è stato ancora una volta rimandato dagli alleati, convinti che la partita vada decisa a livello locale. Un nulla di fatto che produce l’uscita piccata dei Fratelli d’Italia, secondo i quali «è sicuramente positivo essersi incontrati ma l’unità della coalizione non basta declamarla. Occorre costruirla nei fatti».
A far emergere le distanze ancora presenti all’interno della coalizione è anche il modo in cui va in scena il vertice. Le tensioni accumulate dal post-Quirinale faticano a sciogliersi nel pomeriggio di Arcore, in cui Berlusconi – a causa di arrivi e partenze sfalsate da parte degli ospiti – si destreggia in colloqui separati prima con Salvini e poi con Meloni. Il leader della Lega varca il cancello di villa San Martino (assieme al vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli) 40 minuti prima della Meloni (accompagnata dall’altro vicepresidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa), e va via un’ora prima della presidente di Fdi a causa di impegni nella Capitale. A conti fatti il vertice vero e proprio, con tutti i partecipanti al tavolo, dura un’ora, con Berlusconi che offre un aperitivo in giardino e poi un menù a base di riso con melanzane, olive e pachino, branzino in crosta e gelato al pistacchio. E a mandare di traverso il pranzo a Meloni non è solo il caso Musumeci. Anche sulla legge elettorale Fdi non appare convinta dalla posizione di Lega e FI. «Se è positiva la comune contrarietà ad una futura legge proporzionale per le elezioni politiche – afferma Fdi -, restano ancora fumose le regole d’ingaggio sulle modalità con cui formare liste e programmi comuni».
Il casus belli resta comunque quello siciliano visto che Fdi rimarca «la non ancora ufficializzata ricandidatura di Musumeci, su cui la personale dichiarata disponibilità di Silvio Berlusconi si è fermata di fronte alla richiesta di Matteo Salvini di ritardare l’annuncio del candidato». Passaggio questo che irrita il Cav e produce a stretto giro la replica di via Bellerio, per bocca del coordinatore siciliano della Lega-Prima l’Italia Nino Minardo. «La Lega sulla Sicilia non ritarda nulla – le sue parole -. I dubbi su Musumeci non sono di Salvini o della Lega, ma semmai della netta maggioranza dei siciliani. La scelta sul futuro governatore verrà presa in Sicilia, non a Roma o a Milano».
Al termine dell’appuntamento comunque Berlusconi si intrattiene per qualche minuto con i cronisti soffermandosi sull’esito della giornata. «Abbiamo parlato di come sono andate le scelte dei candidati per le prossime elezioni amministrative – spiega -. Per quanto riguarda le città più importanti, abbiamo trovato l’accordo per 21 città, su cinque l’accordo non è stato trovato per pure contrapposizioni locali, ma siamo sicuri che negli eventuali ballottaggi troveremo l’accordo. Questo è l’impegno di tutti». «Finalmente oggi siamo riusciti a incontrarci e abbiamo deciso anche di rivederci presto», annuncia, inviando però un messaggio ai naviganti: «Centrodestra unito? Assolutamente. D’altronde è così evidente che se si disunisse, perderemmo le elezioni e vincerebbe la sinistra, e soltanto un pazzo potrebbe pensare di mandare all’aria questa coalizione». «Per me – afferma l’uomo di Arcore – il centrodestra così com’è funziona. Ci possono essere differenti posizioni su certi argomenti ma su quello principale, si vince se si è uniti, non c’è alcun disaccordo possibile». Ecco perché, per quanto riguarda le politiche del 2023, «abbiamo tutti convenuto che la prima cosa da fare è stendere un programma da far conoscere agli elettori. Ho distribuito quello firmato da tutti noi nel 2018, e nella prossima riunione ciascuno porterà le modifiche che si ritengono necessarie. Lo aggiorneremo, ne discuteremo e avremo ancora un programma unico e, quindi, la coalizione va avanti spedita». La rottura tuttavia si è già consumata, mentre l’asse Berlusconi-Salvini si rinsalda.