Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso”

Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso”

Il Corriere Etneo ha intervistato Costas Varotsos, artista e architetto greco. Suo malgrado coinvolto in una recente disputa politico-culturale, in relazione alla sua opera esposta nel Parco Archeologico di Segesta.

All’interno della mostra “Nella natura come nella mente” che annovera opere di Mario Merz, Ignazio Mortellaro e appunto Costas Varotsos con MondoMostre e Fondazione Merz. Vogliamo sentire la sua voce e le sue ragioni e avviare un confronto più intimo e intenso con la sua opera, la sua natura di artista e architetto e lo spazio culturale che lo ha incubato. Ma nello stesso tempo cerchiamo di trasformare questa polemica in un momento di crescita per gli studenti di un liceo siciliano, il ‘Francesco De Sanctis’ di Paternò al cui interno si sono discusse le ragioni dell’arte e sul rapporto tra memoria e modernità.

L’opera che ha proposto recentemente per il parco archeologico di Segesta (Spirale 1991-98) ripropone alcuni temi – come il rapporto tra memoria e modernità – che spesso la critica contesta aspramente. Forse in Italia questo conflitto non è stato pienamente risolto, e l’arte può offrire, con le sue sperimentazioni, uno sguardo alternativo. Quale è il suo punto di vista e soprattutto come, la sua formazione culturale tra la Grecia e l’Italia, ha inciso nella sua produzione artistica?

Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso” Io sono nato in Grecia e i primi anni li ho vissuti vicino ad Olimpia. Da bambino giocavo dentro i tempi e i siti archeologici, più tardi ho incontrato il Rinascimento in Italia che aveva trasportato tutto il pensiero antico Greco nell’era moderna. Dentro di me c’era sempre una lotta Greco-Romana

C’è da sempre un conflitto – anche sommerso – tra l’artista e il committente e questo assume un perimetro incerto quando quest’ultimo è un ente pubblico. Si perdono i riferimenti sul soggetto “decisorio” e la condivisione del programma artistico-culturale diventa qualche volta incerta. Questo può produrre durante la produzione e dopo la presentazione dell’opera effetti collaterali inattesi, anche indotti. Come gestire il rapporto tra la necessità-opportunità della libera espressione artistica e la ricerca del consenso più ampio? L’arte deve ricercare la totale convergenza di giudizio o sperare nella divergenza costruttiva? In pratica l’arte deve provocare conflitti o collezionare consensi?

Spesso separiamo la memoria con la modernità. La verità è che la modernità ha cercato di allontanarsi dalla memoria in tante fasi della storia. In altri momenti la stratificazione storica era necessaria e inevitabile: per esempio quanto entri nel duomo di Siracusa e scopri un tempio Greco. Questo fenomeno della fusione del passato con il tempo presente lo trovi in Grecia e in Italia e in vari periodi della storia.

Non bisogna pensare alla conflittualità ma porsi una semplice domanda: abbiamo bisogno di un nuovo rapporto con la stratificazione storica in questo momento? Io credo di sì. Viviamo un momento di grande destabilizzazione generale e penso che bisogna ricostruire il nostro rapporto con la globalizzazione, più legata a questioni economiche che culturali.

La sua arte, le sue opere, sono topiche o atopiche? Sono soggetti o oggetti, completano il paesaggio – tentando un dialogo – oppure desiderano mettersi in antagonismo con esso? Il rapporto tra corpo e parassita, tra esistente e trasformazione è sempre un territorio limite e fragile, come, le sue opere, si pongono rispetto a questo tema?

Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso” Le istituzioni dovrebbero dare spazio e difendere la produzione culturale nel territorio. L’arte pubblica si presenta chiedendo scusa. Io non ho cercato mai il conflitto e nemmeno il consenso.

Ho cercato sempre di capire l’enorme stratificazione storica e culturale di ogni spazio in cui intervengo e cerco di avere un rapporto reale di continuità e di fusione energetica con il territorio.

In Segesta ho proposto una colonna caduta e ho cercato di interpretare ed evidenziare il perfetto equilibrio tra spazio e tempo che aveva il tempio greco, tutto questo tramite la colonna “Spyrale” che esprime questo desiderio di enfatizzare questi valori: un tentativo di “chinarsi” per trovare un equilibrio perfetto. Credo che anche le altre opere avevano la stessa funzione nello spazio per lo spazio.

Nell’intervento che ha sviluppato a Segesta sembra prevalere la necessità di mostrare la “mimesis della mimesis. Dall’albero alla colonna, dalla colonna alla sua creazione – di vetro e ferro – un continuo rimando sui significati della metamorfosi e dell’imitazione, come processo di sintesi e di idealizzazione della natura”. Fino a farla diventate artificio e strumento. Questa è una delle osservazioni di un gruppo di studenti di un liceo siciliano (il Francesco De Sanctis di Paternò), dopo aver osservato e discusso sulla sua opera in classe. Questa può essere una chiave di lettura possibile?

I vostri studenti riescono a leggere il lavoro con grande precisione perchè non sono condizionati e inquinati dalla politica o da altre strategie di potere del sistema del arte.

L’arte è documento, provocazione, profezia, indagine, memoria, manifesto, o altro? Forse tutte queste cose insieme? Ha ragione di esistere come funzionale alla didattica o alla pura rappresentazione? Oggi chi è l’artista e che funzioni ha? L’artista ricerca ancora le ragioni del logos le e sue leggi o ha bisogno di manifestare il caos?

L’opera d’arte e sempre quel misterioso oggetto che riesce a sintonizzarsi con il tempo reale contenendo tutta la memoria e l’energia dell’umanità esaltando il significato dell’esistenza umana. L’artista e il mezzo.

Ci sembra di individuare una relazione tra la sua produzione artistica e alcune esperienze del futurismo, da Boccioni a San’Elia. Una certa propensione al titanismo più che al gigantismo. Un’ossessiva attenzione al pitagorismo a partire dalla ridondanza delle sequenze di Fibonacci e alle forme neo-platoniche. Come se volesse riscrivere il senso del numero aureo per riproporre un ritualismo artistico verso il naturalismo concettuale. In pratica dentro le sue opere sembra emergere una visione profonda e misterica. Questo è il territorio della sua ricerca? Il manifesto culturale che desidera proporre allo spettatore?

Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso” Il mio lavoro potrei dire che è l’opposto del futurismo. Dopo la mia opera “il Corridore” – un grande lavoro ad Atene – molti hanno parlato di futurismo. Il futurismo esalta l’analisi di una figura umana in movimento, invece il Corridore è la sintesi dei frammenti in un movimento.

Un lavoro – il Corridore – fatto nel 1988 quando ho cominciato ad avere dubbi sull’approccio analitico che avevano i colleghi aglosassoni. Avevo capito che attraverso un processo sintetico si poteva trovare di nuovo equilibrio tra spazio e tempo che si era alterato con la rivoluzione industriale. Volevo avvicinarmi alle mie origini e poggiarmi su valori assoluti. Questo è molto difficile oggi che viviamo un’atmosfera dove “La verità” è sempre un’altra.

Ogni volta che l’Europa si destabilizza cerca le sue origini, cosi io credo che le mie basi sono Iktinos, Fidia, Platone e altri che mi possono aiutare a ritrovare un nuovo equilibrio attraverso un processo sintetico e non analitico.

Materia, forma e giacitura. Significato e significante. Orientamento e scala. Il suo essere un architetto, oltre che un artista che indaga nella land art del XXI secolo, può aver inciso nelle sue opere? Quasi un equivoco voluto, tra scultura e architettura, tra design e scienza, tra artigianato e industria. Sembrano un continuo rimando a una diversa scala, al desiderio di far diventare l’uomo come parte delle sue opere, che guardano, che indirizzano verso una prospettiva inattesa. In questo senso l’opera di Segesta ci sembra emblematica. Le sue opere non hanno una sola modalità per essere percepite, vuole lasciare al libero arbitrio lo sguardo dello spettatore? Come giudica le foto apparse in questo senso sul web, possono aver indotto a un equivoco?

L’Architettura mi ha dato il senso sociale e politico del lavoro. Quanto operi nella natura o nelle citta ti rendi conto che è la stessa cosa ed entrambi hanno un elemento importante che devi affrontare: la continua trasformazione.

I luoghi pubblici sono l’estensione dei luoghi privati, per questo molte volte abbiamo grandi reazioni molte volte violente. Molti credono che noi abbiamo cercato di violentare la sacralità del luogo ma è l’esatto contrario.

Quanto opero all’interno degli spazi archeologici cerco di sottolineare l’importanza nei confronti della natura e i suoi valori persi nel tempo.

Considera la Sicilia una parte della Grecia (culturalmente) o un continente diverso? Le recenti critiche hanno rafforzato la sua consapevolezza artistica? Si aspettava tanto clamore o era una delle possibili conseguenze che aveva previsto? Tornerà in Sicilia per esporre e lavorare?

Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso” La Sicilia è il posto dove ho fatto il mio primo lavoro pubblico in Italia, a Gibellina nel lontano 1992; ho un altro lavoro permanente vicino Siracusa; ho girato tutta l’isola ed è un posto che amo molto e oggi è parte della mia vita.

Gli antichi Greci hanno lasciato un grande patrimonio artistico, come i Romani hanno lasciato altrettanto in Grecia.

Tutto questo e successo attraverso una contaminazione che era una forza centrifuga culturale che ha creato le basi della civiltà occidentale. Certo che ritornerò in Sicilia, non solo per fare mostre, ma per sentire quella magnifica energia che mi ha dato così tante cose che porto dentro di me. Per quanto riguarda le reazioni per il mio lavoro credo che e sia stato un grande malinteso.

Lo spazio espositivo, in area archeologica, ha bisogno di sollecitazioni come la sua? Abbiamo la necessità di aggiungere – per un certo tempo e sotto forma di istallazione – allo spazio archeologico una nuova grammatica dell’arte? Dobbiamo riattivare quel dialogo tra i luoghi, l’architettura, l’uomo, la natura e gli dei, anche dove il tempo sembra essersi fermato? Si ritiene un passatista o un futurista?

Né passatista né futurista. Cerco di connettermi con il tempo presente che è un’impresa sempre molto difficile.

Credo che tutti i luoghi naturali ed urbani, devono essere disponibili per produrre il meglio della nostra cultura e ogni tanto andare ad appoggiarsi nelle braccia degli Dei, con coraggio e rispetto per prendere quella loro forza per poter continuare. Sono i nostri Dei!

 

Parla l’artista Costas Varotsos: “A Segesta la mia ‘Spyrale’ cercava l’equilibrio perfetto. Sulla mia opera un grande malinteso”

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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