“Un pezzo di Stato si era piegato ai boss, ora tutta la verità su quelle stragi. Io e i miei colleghi siamo stati denigrati e lasciati soli. Nessuno ci chiederà scusa. Il cavaliere? Ciò che scrive la Corte è molto grave”. Lo dice il pm Nino Di Matteo in una intervista a Repubblica: “Questa sentenza è la conferma importante della tesi investigativa su cui ho lavorato per anni, sin dai tempi in cui chiesi e ottenni a Caltanissetta 20 condanne all’ergastolo nel processo via d’Amelio-ter e sostenni che l’anomalia di quella strage consisteva in una sua improvvisa accelerazione rispetto agli originali piani di Cosa nostra”. E ancora: “Mi sono ancor più convinto del valore storico della pronuncia della Corte di assise. Alcune conclusioni sono inequivocabili La trattativa ci fu. Fu iniziata da organi dello Stato che cercarono il contatto con i capi di Cosa nostra. Giuridicamente è stata ritenuta criminale. E di fatto, come hanno letteralmente scritto i giudici, l’invito al dialogo pervenuto a Riina dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituì “un elemento di novità che può avere determinato l’effetto di accelerare l’omicidio del dottor Borsellino con la finalità di approfittare di quel segnale di debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato””.
Sullo stesso quotidiano interviene anche Nicola Mancino, l’ex ministro dell’Interno nel 1992, in piena Trattativa, assolto in primo grado dall’accusa di falsa testimonianza.
“Io di quel patto non sapevo nulla ma non lo escludo. Ho combattuto Cosa nostra, la mia era una linea dura: rispettare il 41 bis e infierire contro tutti i capimafia, corleonesi o no. Sono curioso di sapere su quale base il fatto di cui ero accusato, la falsa testimonianza, è diventato inesistente. Dovevo essere giudicato da un giudice monocratico, invece mi sono trovato accanto a mafiosi che ho sempre combattuto.
“Ho combattuto la mafia, mica mi sono trastullato. A Catania, a Palermo, a Caltanissetta, dovunque ho detto che bisognava mantenere fermo il 41 bis. La mia era una linea dura: rispettare il 41 bis e infierire contro tutti i capi mafia, corleonesi o no». Secondo la Corte, Dell’Utri riferiva a Berlusconi dei suoi rapporti con Cosa Nostra, mediati da vittorio Mangano. “È una pagina di storia sospesa, probabilmente faranno altri accertamenti. Di Berlusconi se ne è parlato, ma ci si è anche fermati”.
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