di Luigi Sapienza*
Ho ascoltato per intero la conferenza stampa di giorno 9 febbraio scorso in streaming, a proposito dell’intervento cui il Comune di Paternò intende sottoporre la fontana monumentale di Piazza della Regione.
Come storico dell’arte e nello specifico studioso, da anni, di fontane, sono già più volte intervenuto sull’argomento, ma di fronte alle assurdità per certi versi demenziali che ho sentito addurre dalle persone intervenute in detta occasione per giustificare l’operazione devastante che si sta approntando, sento la necessità di scrivere quanto segue.
Sostenere che, dal momento che la fontana di Piazza della Regione era stata dimenticata dalla collettività e lasciata nell’indifferenza (cosa peraltro tutta da dimostrare dal punto di vista della cittadinanza non facente parte di questa e delle giunte precedenti), sia ora lecito prendersene cura demolendone la parte strutturale, sarebbe come (ad esempio) ritrovare durante degli scavi un antico sarcofago romano e decidere di privarlo del coperchio per renderne fruibile l’interno al pubblico, dato che fino a quel momento il pubblico stesso lo ignorava del tutto. La negligenza ed il degrado prodotti negli anni precedenti non giustificano e non potranno mai giustificare l’alterazione di un’opera, bensì dovrebbero costituire maggiore spinta a recuperarla e tutelarla; concetti a quanto pare ostici per le persone che pretendono di decidere in merito.
L’argomentazione poi relativa alla “rovina” prodotta dall’acqua su mosaici e sculture ha veramente del paradossale:
si imposta il discorso quasi lasciando intendere che tali opere di pregio si trovarono per 50 anni all’interno di una vasca dotata di impianto idrico per caso o per sventura, come piovute dal cielo, e non perché eccellenti esecutori (Domenico Tudisco e Francesco Contrafatto) avessero deliberatamente deciso di inserirvele secondo un preciso ed organico progetto compositivo di cui la fontana (cioè innanzitutto la vasca di contenimento e poi le strutture di appoggio di tali opere postevi dentro) non era e non è una trascurabile aggiunta, ma l’elemento convalidante, funzionale e correlativo del tutto.
Ho sentito in proposito frasi comiche:
“Si è detto di tutto e di più su questo intervento, ma stiamo solo ripristinando e riqualificando, senza togliere niente di quello che c’è”. Mi piacerebbe quindi sapere per quale strano motivo questo monumento per 50 anni sia stato circondato da tale inutile cosa, una vasca con zampilli, così inconsistente da venire considerata nulla, una roba da rimuovere con una spolverata. Come studioso di fontane anche ben più rappresentative e importanti di questa, posso assicurare che non esiste opera (né tipologia di acqua) che nel tempo non produca usura e segni di passaggio su strutture e statue sopra cui ricade. Difatti, allo stesso modo, non esiste fontana (né monumento in senso lato) che goda di un’autoconservazione eterna: qualsiasi opera, o fontana, va periodicamente restaurata nel tempo. E se questa, per la presenza di bronzo e mosaici, richiede una manutenzione più frequente, un’amministrazione che avesse a cuore i propri beni culturali non ci penserebbe due volte a destinare ad essa i fondi necessari per mantenerla in buono stato. Invece in questo caso, si opta per distruggerne una parte (fondamentale) e per alterarne irrimediabilmente la restante. Come se in piazza vi fosse un albero imponente e antico e, invece di potarlo periodicamente, si decidesse di farlo a pezzi e di reinventarsi un’aiuola con alcuni rami superstiti dello stesso ripiantati qua e là.
Mi meraviglio che i tecnici presenti alla conferenza non abbiano detto mezza parola in merito al progetto neorazionalista originario dell’opera,
ed anzi considerino la vasca una “barriera architettonica”, come fosse un marciapiedi malcostruito che ostruisce il passaggio, e che si parli di “rendere fruibili” i mosaici e il gruppo bronzeo, come se prima la cattiva sorte ne avesse impedito la visione costringendoli dentro questo fastidioso contenitore che, barbaramente, il Comune si appresta a demolire (e che invece è la fontana, non una parte della fontana). Non esiste fontana monumentale che non produca un gioco d’acqua interagente con le sue parti interne, che in questo caso sono i pannelli musivi, il bronzo e le strutture in calcestruzzo. Se l’acqua non interagisse con essi, non vi sarebbe gioco d’acqua e quindi neanche fontana. Si tratterebbe solo di opere all’asciutto, per l’appunto, e di certo aggiungere qualche marginale flusso d’acqua estraneo alle altre parti non salverà l’anima di questo eccellente monumento del 1972, che finirà perduto e compromesso, come già accaduto in molti altri casi passati a Paternò (fontane che non furono certo demolite per “l’acqua pesante”, bensì come al solito per manutenzione carente, vandalismo gratuito cui erano soggette ed altri eventi che qui non c’è modo di approfondire).
Naturalmente l’amministrazione di Paternò, se lo ritiene, è libera di modificare per sempre questa fontana, ed entrare così negli annali locali con delle note di certo dolenti; ma non si permetta di parlare di riqualificazione, ripristino o restauro. Le cose vanno dette come stanno: trattasi di manomissione arbitraria intrusiva ed alterazione irreversibile di un’opera d’arte, nient’altro.
*Storico dell’arte
Finalmente un intervento Autorevole dopo la conferenza stampa fatta dal Sindaco ( impiegato asp in aspettativa)