Luigi di Maio ha scartato di lato e si è dimesso dal comitato di garanzia del Movimento.
Sono comunque pronto «a sostenere il nuovo corso», ha assicurato in una lettera a Giuseppe Conte e a Beppe Grillo. Ma poi ha messo in guardia l’ex premier: manterrò «la libertà di alzare la mano e dire cosa non va bene». Malgrado i parlamentari vicini al ministro degli Esteri si siano affrettati a parlare di «gesto distensivo» per «un dialogo sereno», la risposta ufficiale del Movimento – e quindi, implicitamente, del presidente Conte – non è stata conciliante. Anzi. Di Maio ha «esposto la nostra comunità» a «gravi difficoltà» e quindi il «passo indietro» è «giusto e dovuto». Per la seconda volta in pochi giorni, il fondatore Beppe Grillo è quindi dovuto scendere in pista per provare a far uscire il Movimento dall’angolo, indicando un oltre: dobbiamo «passare dagli ardori giovanili alla maturità», ha scritto fissando un’agenda ispirata alle `Lezioni americane´ di Italo Calvino: le cinque stelle polari sono leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità. La partita fra Di Maio e Conte va avanti da tempo, ma la vicenda del Colle ha portato in pubblico quel che fino ad allora era rimasto (più o meno) sotto traccia.
A caldo, dopo il voto per Sergio Mattarella al Quirinale, Di Maio ha chiesto «una riflessione» nel M5s, aprendo così la tenzone con Conte, che ha risposto parlando di un chiarimento pubblico, aperto alla «comunità degli iscritti». La replica non è piaciuta al ministro degli Esteri che, nella lettera, ha parlato di «dibattito interno degenerato», visto che si è cominciato a discutere di «scissioni, processi, gogne». Non è un caso, quindi, se nella sua missiva Di Maio ha tenuto a ricordare «il tentativo dei capigruppo e di Beppe Grillo di favorire un dialogo sereno», ma non ha mai citato Conte. I nervi sono a fior di pelle. Anche per cercare di allentare la tensione, nei giorni scorsi i parlamentari hanno chiesto che il confronto avvenisse coi gruppi di Camera e Senato. E in queste ore, nella truppa, c’è chi ha letto nelle dimissioni di Di Maio una mossa d’anticipo su un possibile provvedimento dell’ex premier: le correnti sono «vietate dallo statuto» ha sottolineato nei giorni scorsi Conte. Un’allusione a cui Di Maio ha risposto nella lettera: «Si è provato a colpire e screditare la persona», malgrado «proprio il nuovo statuto del Movimento» censuri questo tipo di atteggiamento. Insomma, nel caso in cui Conte impugni la Carta del Movimento contro Di Maio, Di Maio sembra pronto a rispondere con la stessa arma.
Un momento della verità potrebbe essere l’assemblea degli iscritti, che il M5s potrebbe convocare a giorni per approvare la decisione di imboccare la strada del 2xmille. Ma si tratta di una carta che per ora è rimasta nel mazzo. Anche perché l’accesso al finanziamento pubblico dei partiti è un tema che agita non poco gli animi. Come un altro, che però Grillo ha voluto inserire nel suo post sulle stelle polari: proponiamo la «rotazione o limiti alla durata delle cariche, anche per favorire una visione della politica come vocazione e non come professione».
Il passaggio ha richiamato la questione del doppio mandato, che agita le truppe di Camera e Senato, già in subbuglio per il taglio dei parlamentari atteso alla prossima legislatura. E anche quella dell’accumulo di cariche, con Di Maio che avrebbe «sanato» l’anomalia del doppio ruolo nel comitato di garanzia e di ministro degli Esteri. «Il Movimento è casa nostra – ha scritto Di Maio a Conte e a Grillo – ed è fondamentale ascoltare le tante voci esistenti, e mai reprimerle. Qui si vince o si perde tutti insieme. Se rimaniamo uniti, con le idee di tutti, torneremo a essere determinanti». Parole che si contrano con la replica ufficiale del M5s: non possiamo permettere «che i nostri impegni con gli iscritti e con i cittadini siano compromessi da percorsi divisivi e personali, da tattiche di logoramento che minano l’unità e la medesima forza politica del MoVimento».
Di Maio, Toninelli, Crimi, Gianrusso, Dadone, Azzolina, Trippa, incapaci. Conte bugiardo