“In un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti, chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme”,
sono le parole di Hashim Sarkis, architetto, docente e ricercatore che ha curato la 17^ Mostra Internazionale di Architettura a Venezia, che dal 22 maggio al 21 novembre – nei Giardini e all’Arsenale – si offre ai suoi visitatori. Il titolo della Biennale è anche il suo tema. Una domanda aperta: How will we live together?
“How: come, parla di approcci pratici e soluzioni concrete, sottolineando l’importanza del problem solving nel pensiero architettonico. Will: esprime il tempo futuro e segnala uno sguardo rivolto al futuro ma anche la ricerca di visione e determinazione, attingendo alla forza dell’immaginario architettonico. We: è la prima persona plurale e quindi inclusiva di altri popoli, di altre specie, che fa appello a una comprensione più empatica dell’architettura. Live: significa non semplicemente esistere ma prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita, attingendo all’intrinseco ottimismo dell’architettura. Together: implica collettivi, spazi comuni, valori universali, evidenziando l’architettura come forma collettiva e forma di espressione collettiva. ?: Indica una domanda aperta, non retorica, che cerca (molte) risposte, che celebra la pluralità dei valori in e attraverso l’architettura.
Poniamo questa domanda agli architetti perché crediamo che abbiano la capacità di dare risposte più stimolanti di quelle che la politica ha finora offerto in gran parte del mondo. La poniamo agli architetti perché noi, come architetti, ci preoccupiamo di dare forma agli spazi in cui le persone vivono insieme e perché spesso immaginiamo questi ambienti in modo diverso dalle norme sociali che li dettano”. (Hashim Sarkis)
Dopo l’iniziale scettiscismo – ormai una tradizione per questi eventi – la “Biennale di Architettura” – pensata profeticamente prima della pandemia – ravviva il dibattito sul ruolo dell’architettura e attraverso il suo titolo-manifesto ci sollecita a riflettere complessivamente, come progettisti, amministratori e cittadini. Una tempesta di emozioni immersive – qualche volta palesemente provocatorie – che scavano nella nostra memoria primordiale, alla ricerca dell’essenza, del necessario, della modernità, dell’utile a partire da un uso di forme e materiali che guardano con scientificità la natura, l’impatto dell’abitare sugli ecosistemi, la socialità, la multiculturalità e l’identità come innovazione della tradizione.
La prospettiva offerta in questa edizione (ricordo a tutti, pensata prima della pandemia) individua un sentiero che rimette al centro la materia, l’umanità, la terra. Architetture che riusano, riciclano e che pongono interrogativi e critiche sull’uso dei suoli e sull’incidenza dei cambiamenti climatici. Architettura minime, micro, effimere, leggere. Sembra di rileggere “Lezioni americane” e “Le città invisibili” di Italo Calvino o meglio di guardare le illustrazioni. Uno dei linguaggi più usati è quello della “sezione”, il desiderio di vedere dentro le cose, attraverso la poetica dello scheletro strutturale, della tettonica culturale, della dimensione meccanica delle idee. Fili, tubi, acqua, evidenti e dichiarati per costruire un linguaggio didascalico, didattico, pedagogico. La soluzione ai bisogni del pianeta declinati attraverso il progetto di piccoli oggetti di uso quotidiano, di micro architetture a basso impatto tecnologico. Prospettive, piani, luoghi, sequenze, ritualità utili per comporre architetture abitate. Forse il tramonto dei “bigness”.
Il padiglione spagnolo emoziona.
Raffinato, intrigante e spudoratamente concreto. Un’istallazione di arte che racconta con pochi gesti formali il suo manifesto culturale. Gli Usa, che ritrovano la tradizione e tracciano un percorso quasi nuovo. Lo scheletro strutturale della loro tradizione tecnologica – delle case in legno – che si relaziona con il padiglione storico, diventando un chiaro mosaico di materiali: mattoni, pietre, legno acciaio, vetro, emozionante e vibrante, iconico e attrattivo, una scultura che ci riporta a Sol LeWitt (che ritroveremo anche in altre installazioni). Adiacente il padiglione di Israele, inquietante, come l’obitorio della natura, la denuncia di una necessità. Ma la poesia si raggiunge con le esposizioni dei paesi scandinavi e della Danimarca. Due esperienze straordinarie. Al centro, in entrambi i casi, l’uomo e il suo rapporto riconciliato con la natura, il tempo e la materia. Scalzi per attraversare quello scandinavo e con una tazza di infuso in mano per quello danese. Il legno, il co-housing, la semplificazione tecnologica – sempre in chiave sostenibile – completamente a vista. Coltivare, recuperare; l’acqua, le piante, i flussi, gli sguardi. Uno schiaffo al lusso, all’ostentazione, per privilegiare la “prossimità”, la “vicinanza”, la lentezza. Come per prefigurare un nuovo modello di abitare che sia più compatibile con le pandemie. Policentrico. Profetico.
Forme, materiali e funzioni misurate, senza rinunciare alla poetica e all’arte. Emozioni che guardano la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco come fondali, come spartiti, come carta di riso su cui scrivere nuove storie: come il Byōbu di Hasegawa Tōhaku intitolato “Alberi di pino”. Ecco l’immagine che meglio rappresenta questa mostra è quella di quest’opera del XVI secolo giapponese.
Non rimane che concludere con una riflessione di rimbalzo.
Organizzare una biennale dell’Architettura del Mediterraneo a Catania? La necessità di confrontarsi – artisti, scrittori, architetti, poeti, musicisti, attori, ecc. – con le culture che hanno determinato questo atlante culturale di cui noi oggi siamo custodi? Magari in quello spazio travagliato da progetti impossibili che è Corso Martiri della Libertà – tra il centro storico e il mare, adiacente alle stazioni ferroviarie e della metropolitana? Luogo baricentrico dell’asse Malta-Reggio Calabria e Catania-Palermo? Ne vogliamo parlare Presidente Musumeci (Presidente della Regione Sicilia)? Vogliamo approfondire Sindaco Pogliese (Sindaco della città metropolitana di Catania)?