“Dobbiamo togliere terreno al virus, non farlo correre. Se riduciamo il bacino di persone che possono essere colpite, ridurremo anche lo sviluppo di nuove varianti” di Sars-CoV-2.
E’ una delle ragioni per cui Sergio Abrignani, immunologo dell’università degli Studi di Milano, fra gli esperti del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza coronavirus, in un’intervista al ‘Corriere della Sera’ lancia un appello agli adolescenti e ai loro genitori: “Fate un grande gesto nell’interesse della collettività”, aderendo alla vaccinazione anti-Covid senza paura e con convinzione. “In Italia abbiamo pianto 126mila morti – ricorda – La vita di tutti noi è stata stravolta. I ragazzi hanno sofferto molto, privati delle loro libertà, e capiranno che ora devono partecipare alla ricostruzione della normalità”.
“Le autorità sanitarie dei Paesi che hanno già vaccinato milioni di giovani tra i 17 e 25 anni d’età, come Israele e Stati Uniti – spiega Abrignani – hanno riaffermato che la protezione dei giovani, quindi anche degli adolescenti, è di primaria importanza nell’ambito di una strategia di contenimento del virus”. Perché se è vero che “gli adolescenti non sono vittime del Covid e difficilmente hanno forme severe di malattia”, comunque “vengono contagiati e a loro volta contagiano. Se non si vaccinassero il virus circolerebbe di più, creando problemi di sanità pubblica”.
“Anche dopo aver messo insicurezza 50 milioni di italiani con una o due dosi” di vaccino, sottolinea infatti lo specialista, “circa l’1% fra loro non saranno esenti dal rischio. I pazienti oncologici in chemioterapia o pazienti autoimmuni con un sistema immunitario molto compromesso da terapie immunosoppressive non rispondono alla vaccinazione e quindi potranno essere infettati e avere gravissime conseguenze, anche mortali. Per questo spero fortemente, e ci credo, che i giovanissimi non si tirino indietro non sentendosi personalmente in pericolo”.
Anche perché con le varianti del coronavirus pandemico “finora ci è andata bene – osserva Abrignani – Quelle che si sono presentate, compresa la cosiddetta indiana indicata dall’Oms come variante Delta, non hanno scalfito molto l’efficacia dei vaccini. Ma se diamo al Sars-CoV-2 altre opportunità di replicarsi – ammonisce – alla fine potrebbe azzeccare la mutazione capace di sfuggire alla profilassi”.
I 20enni stanno rispondendo bene alla chiamata. Potrebbe non accadere altrettanto con i più piccoli?
“No, sono fiducioso – dice l’immunologo del Cts – Avverto un clima favorevole. C’è il desiderio di riprendersi lo spazio perduto. Torneranno a scuola di nuovo liberi. Non bisogna avere paura, i vaccini sono efficaci e sicuri”. Il generale Figliuolo ritiene che a settembre l’immunità di gregge possa essere raggiunta. Abrignani è d’accordo, oppure pensa come il collega Anthony Fauci che l’immunità di gregge sia un traguardo irraggiungibile? “Il commissario per l’emergenza ha svolto un lavoro incredibile. Oggi è difficile però stimare se e quando arriveremo all’immunità di gregge – avverte – perché non sappiamo fino a che punto i vaccinati, sebbene al riparo, dalla malattia, non siano contagiosi. Non è noto con esattezza quanti siano protetti dall’infezione asintomatica. Da un lato, da immunologo, condivido l’incertezza di Fauci, dall’altro penso sia molto importante fissare degli obiettivi e immaginare che a settembre potremmo raggiungere l’immunità di gruppo”.
Nel frattempo, quando eguaglieremo la Gran Bretagna che da setti-mane è ferma su 1-2 vittime al giorno per Covid-19? “Spero entro fine giugno – stima l’esperto – Per scendere a questi livelli dovremo però vaccinare gran parte dei suscettibili agli effetti gravi del virus e mancano all’appello ancora circa 2,5milioni di ultrasessantenni”. Infine, chiarezza sui test sierologici di cui c’è grande richiesta. Per Abrignani “non ha molto senso fare il test sierologico per misurare gli anticorpi. Non c’è un correlato di protezione dall’infezione, cioè non sappiamo quale sia il livello al di sopra del quale vi è protezione. Inoltre non esistono test standardizzati, ma molti test tutti diversi. In medicina non si fanno test diagnostici la cui risposta non porti a prendere decisioni o a informare sul decorso clinico”. I sierologici, piuttosto, “servono a stabilire a livello epidemiologico la percentuale della popolazione che è stata contagiata in modo asintomatico”.