Il terzo intervento del dibattito aperto dal Corriere Etneo sulla trasformazione dell’ex ospedale Santa Marta di Catania è affidato a Maurizio Erbicella, ingegnere urbanista.
Erbicella è componente del Consiglio regionale dell’Urbanistica. Ambientalista per nascita, ingegnere per formazione, territorialista per vocazione.
Ingegnere, si è fatto una idea sulla vicenda che sta coinvolgendo l’area dell’ex Ospedale Santa Marta?
Sì, seguo con attenzione tutti i tentativi di riqualificare le città nell’attuale scenario continentale. E’ un tema centrale dell’odierno dibattito urbanistico nazionale che nella città di Catania riveste un rilievo ancor più significativo, dovendosi recuperare il cinquantennale vuoto temporale trascorso in assenza di adeguate azioni pianologiche cogenti.
È d’accordo sulla ipotesi di demolire i volumi dell’ex nosocomio e creare una piazza?
Sì. Interventi di diradamento del costruito – soprattutto nel caso di superfetazioni recenti del tessuto urbano – sono auspicabili, seppur necessiterebbero di un quadro di riferimento urbanistico.
Ci sono altri punti della città dove ritiene sia importante creare dei vuoti urbani?
Sì, come detto, reputo indispensabile, sotto molteplici profili – urbanistici, paesaggistici, ambientali e, finanche, di pubblica incolumità – riqualificare e rigenerare la Città densa con degli opportuni diradamenti tutte quelle volte in cui la stessa si presenta non più adeguata agli standard contemporanei, essenziali per una vivibilità sostenibile.
Ha avuto modo di vedere la proposta presentata dal Presidente della Regione nei giorni scorsi?
Sì, seppur con la limitazione delle poche elaborazioni grafiche disponibili e con il breve tempo ad oggi intercorso dalla presentazione. Necessita di approfondimenti e forse di più coraggio visionario.
Il Comune di Catania non ha voluto procedere affidandosi a un concorso di idee. Cosa ne pensa a riguardo? Ritiene più vantaggioso l’affidamento diretto o la consultazione?
Ritengo il concorso di progettazione, non di idee, un ottimo strumento di confronto e partecipazione per la risoluzione di tali temi urbanistici, quando d’iniziativa pubblica e soprattutto nel caso di interventi chiamati a rifunzionalizzare brani significativi della città. Nella fattispecie, in relazione alla modestia dell’intervento e alla tempistica di svolgimento, lo strumento dell’affidamento diretto non è da escludere a priori.
Che ruolo può avere la “partecipazione democratica” nella definizione di questo progetto e più in generale nei processi di rigenerazione urbana?
Fondamentale e indispensabile, sia nel caso di questo progetto, ancorché con affidamento diretto, che per tutti gli interventi di riqualificazione urbana. Tale dibattito necessita, come ho già detto nei giorni scorsi, di un luogo deputato al confronto permanente sulle trasformazioni urbane sostenibili, di una struttura partecipata atta al coinvolgimento critico delle comunità civiche nelle politiche di riqualificazione della città metropolitana, nonché di un catalizzatore di giovani energie creative e visioni condivise per il rinascimento urbano. Tale luogo – sia reale che virtuale – si chiama “Urban Center” ed è centrale per il raggiungimento degli obiettivi della pianificazione partecipata. A Catania lo reputo assolutamente indispensabile, a fronte del cinquantennale gap storico urbanistico ed alla luce della recentissima nuova normativa per il governo del territorio (LR 19/20).
Che ruolo possono avere gli architetti, gli ingegneri e gli intellettuali negli sviluppi di questa vicenda?
Solo quello di cittadini con una “cassetta degli attrezzi” più fornita da mettere al servizio della collettività per il raggiungimento della miglior soluzione nella rigenerazione della contemporanea Città per l’Uomo, perequata, sostenibile, concertata e capace di testimoniare la specificità storico culturale ed ambientale delle Comunità nel tempo ivi insediate.