Cogliamo al volo le tante sollecitazioni che in questi giorni animano il dibattito sulla demolizione dell’ex complesso ospedaliero di Santa Marta a Catania, in pieno centro storico, posto nelle adiacenze del convento dei Benedettini di San Nicolò l’Arena. Nel cuore dell’antica Catania, quindi, sulla sua acropoli lungo l’Antico Corso.
L’annuncio del presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci sulla sua demolizione ha riacceso la voglia di confronto sui temi del progetto di architettura alla scala urbana, sulle implicazioni normative e sulla necessità di definire visioni e strategie complessive.
Alcune autorevoli voci – rappresentative della memoria culturale della città e non solo – esprimono perplessità e speranze per questo potenziale progetto di rigenerazione urbana che impegna un’area significativa del centro storico, in una sua porzione particolarmente complessa, in un contesto culturale dove l’innesto dell’architettura contemporanea, nel tessuto storico, è una pratica spesso osteggiata.
Il tema che ne deriva e che propone diverse possibili declinazioni ha un grande valore sul piano dell’esperienza consolidata per i prossimi interventi nella città in termini di pratica esportabile nel suo intorno culturale.
Quello che appare evidente è che le scelte che saranno prese, condizioneranno il futuro dei progetti in centro storico.
Determineranno una letteratura consolidata e un metro di paragone per valutare la compatibilità di altri interventi analoghi. Non è cosa da poco e ci pare utile sostenere il dibattito attraverso gli approfondimenti che si svilupperanno nei prossimi mesi. Per adesso sappiamo solo che il manufatto sarà demolito per offrire alla città uno spazio per la socializzazione (meglio conosciuta come piazza).
A dire il vero, alcune riflessioni operative sono state fatte – attraverso tre workshop – dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Catania: nel 2014 (Aretè, abitare le rovine), nel 2016 (Aretè, abitare lo spazio urbano) e nel 2018 (Layer Zero).
Attraverso la pratica del progetto, con la partecipazione di importanti architetti internazionali che hanno messo a disposizione della città la loro esperienza culturale e professionale, si sono esplorate diverse modalità dell’abitare; le tre esperienze hanno indagato il senso e le modalità del fare architettura contemporanea in ambienti storici e monumentali per costruire nuovi paesaggi urbani. Ma sono anche tante le esplorazioni progettuali e le riflessioni teoriche che le diverse scuole di architettura dell’Università di Catania hanno messo in campo, al fine di costruire buone pratiche e possibili soluzioni. Per sviluppare il dibattito forse bisognerebbe ripartire proprio dai risultati di queste ricerche ed esplorare nuovi territori.
La Regione Siciliana – attraverso la recente legge urbanistica 19/2020, all’art.25 comma f) – «promuove l’architettura contemporanea e la qualità dell’edilizia pubblica e privata, prevalentemente attraverso la previsione del ricorso a concorsi di progettazione per particolari interventi di opere pubbliche di particolare valenza architettonica e favorendo il concorso di progettazione per gli interventi privati attraverso incentivi di premialità». Mentre all’art. 31 comma 6 della stessa legge si evidenzia come «Alla Conferenza – momento decisionale – possono altresì partecipare, in funzione consultiva e senza diritto di voto, altri soggetti pubblici o soggetti privati rappresentativi di interessi collettivi o diffusi, che per le loro specifiche competenze e responsabilità sono interessati al PPA».
Questo nuovo quadro normativo, suggerisce ottimismo per due ragioni.
Il progetto di rigenerazione urbana relativo all’area del Santa Marta sarà certamente gestito – in quanto portatore di complessità – con un piano particolareggiato attuativo (PPA) di iniziativa pubblica, che prevede il concorso di progettazione e nella sua fase di validazione avranno voce i portatori di sapere e d’interesse collettivo. Le premesse sono buone, vedremo le evoluzioni possibili. Questo incoraggia a costruire una consapevolezza collettiva relativamente agli obiettivi raggiungibili. Insomma bisogna parlarne con cognizione di causa oltre i social.
Nel merito della questione, sentito il Presidente dell’Ordine degli Architetti di Catania, Alessandro Amaro, “sono state già avviate le interlocuzioni con le autorità competenti – come il genio Civile in questa prima fase – per condividere il patrimonio di studi e ricerche sviluppate nei tre workshop (2014,2016, 2018) al fine di costruire una prima piattaforma d’indagine.” Anche questo ci incoraggia a sperare bene e le tante sollecitazioni che provengono dalla città saranno utili per definire il quadro complessivo degli obiettivi afferente al progetto di rigenerazione urbana.
Sul piano delle strategie di progetto, condivido la necessità di mantenere il senso del tessuto urbano – evidenziato recentemente da Giuseppe Scannella (già Presidente dell’Ordine degli Architetti di Catania) – che non significa rinunciare al vuoto – coerentemente alle teorie sulla disciplina del recupero urbano – ma sollecitare il progetto verso un’ibridazione morfo-tipologica, lavorando per sezioni architettoniche-archeologiche. Perché qualunque progetto deve fare i conti con quello strato invisibile e sommerso che è il giacimento archeologico.
Questo imporrà uno strato nobile sotto la linea di terra – magari con una cripta archeologica – uno strato poroso e visuale alla quota stradale e una cortina sottile e/o effimera che ricostruisca la memoria urbana offrendo funzioni laboratoriali e culturali per la ricerca, lo studio e la creatività.
Ma siamo solo all’inizio e c’è tanta strada da fare e tanto da ascoltare. Adesso bisogna ascoltare in silenzio, con attenzione tutte le parti e le tante implicazioni perché questo tema sarà strategico e determinante per il futuro di una città metropolitana che aspira alla dimensione europea.