Le fonti storiche della favola del Topo di campagna e del Topo di città sono antichissime. Risalgono al VI secolo a. C, al mondo greco di Esopo, alla civiltà latina di Fedro, fino ad arrivare alla riscrittura, di gran parte delle favole classiche, redatta in Francia, nel Seicento, da La Fontaine. L’efficace e sintetico nucleo narrativo di questa favola è dunque arrivato fino a noi e si presta, ancora oggi, ad essere rinarrato e interpretato alla luce del tempo presente, un tempo in cui il naturale divario tra la città e la campagna suggerisce di trattare l’argomento inserendo ulteriori divergenze culturali e sociali. Niente di più facile allora che conferire al topo di città le abitudini e i vizi della nostra era telematica e digitale, così come delegare al cugino campagnolo, i pregi della naturalità di un ambiente che oggi più che mai appare salutare e biologico. La nostra era avverte un bisogno diffuso di genuinità, una necessità che convive con la dipendenza degli esseri umani dalle macchine, dagli smartphone, da facebook e da Internet. “Riscrivere questa fiaba – spiega Lina Maria Ugolini- per la scena è stato estremamente divertente. Ha permesso soprattutto di poter giocare con le pedine eterne del teatro, un gioco da commedia che da sempre trae vitalità dal contrasto di mondi opposti, un contrasto che è fondamento d’azione e garanzia per l’invenzione dei caratteri. Rodolfo, topo tecnologico, rapido nell’usare il suo telefonino ma pigro nel mettere in moto zampe e testa. Berto, umile topo di campagna, dal ragionare semplice e poetico come acqua di fonte. A due topi di così chiaro effetto caratteriale – continua la scrittrice, drammaturga – non si poteva che affiancare un gatto di nome Gedeone, un carburante d’efficace risultato scenico, un micione che si erge a giudice delle sorti dei due cugini, un don Giovanni felino che nel corso della sua carriera ha collezionato nella pancia topi e topolini, un predatore che vuol beffare le sue vittime ma che finisce beffato. Alla velocità del nostro tempo postmoderno si è voluto infine accostare la lentezza di una lettrice d’eccezione: Lise La Lumac, una creatura che trascorre il suo tempo tra i prati in compagnia del silenzio e di tanti buoni libri, libri di carta e non certo virtuali. La morale di questa nuova favola è ricca e composita. Invita il pubblico a seguire la scelta di un giusto equilibrio, ad apprezzare la campagna, a non abusare della tecnologia cittadina, a leggere con attenzione i libri e il mondo circostante, suggerisce soprattutto di provare uno stupore acerbo davanti alla varietà preziosa della vita”. Una favola con il sapore antico ma sempre attuale da vedere sia per i grandi che per i piccini.