La Diavolata di Adrano: tra fiamme e fuorionda i ricordi e le curiosità di “Asteroth”

La diavolata adrano
Ad Adrano, la domenica di Pasqua, nella centrale Piazza Umberto vanno in scena “I Diavulazzi ‘i Pasqua”, una ‘infernale’ rappresentazione entrata di diritto tra i principali appuntamenti della tradizione locale (alla Diavolata fa seguito l’Angelicata, trattandosi di un corpo unico drammaturgico).                                          
Il Corriere Etneo ha chiesto a Nino Bua, impiegato del Comune di Adrano e “diavolo” per passione, di raccontare le curiosità del popolare appuntamento pasquale. Bua, per quasi 30 anni, ha impersonato uno dei diavoli della rappresentazione.  
 
Un giorno, avevo circa sette anni, mio padre appassionato della Diavolata, mi disse: “Andiamo al Circolo Operai”. Là, infatti, si tenevano le prove della recita pasquale. In realtà si era messo d’accordo con Salvatore Di Stefano, suo amico e regista-organizzatore della tradizionale rappresentazione di Adrano, per  assegnarmi una delle parti destinate ai bambini. Io, purtroppo impaurito dalle maschere dei diavoli, mi impressionai e non ne volli sapere. Chissà se fu proprio quell’episodio che mi spinse venti anni a dopo a varcare la barricata e impersonare per quasi 30 anni “Asteroth” nella rappresentazione I DIAVULAZZI ‘I PASQUA. Debuttai  nel 1989 e ancora ricordo la notte insonne che trascorsi. Avevo recitato altre volte, ma un conto era esibirsi in un piccolo teatro di parrocchia davanti ad un pubblico di parenti ben disposti, altra era recitare di fronte a migliaia di persone. Preso dal panico, pur di non andare pensai di fingermi malato poi perfino di scappare e darmi irreperibile. Alla fine prevalse il senso di responsabilità e la mattina di Pasqua mi recai in Piazza Umberto a fare quello che da piccolo avevo sempre sperato.  In 30 anni di cose curiose durante la recita ne sono capitate: mi ricordo di quella volta che a causa del forte vento, non volendo rimandare l’appuntamento con la tradizione, recitammo senza scene ad eccezione del mascherone peraltro retto a mano dagli operai comunali per evitare che ci cadesse addosso. Oppure quella volta nel 2010, che il vento l’ebbe vinta costringendoci a rimandare la sacra rappresentazione. Tutti si chiedevano in che data riproporla. Piccolo particolare, nessuno di noi e nessuno degli “anziani del popolo” si ricordava di un rinvio. Ci affidammo alla tradizione orale che voleva in caso d’impedimento si replicasse ”all’ottava”,  cioè la domenica successiva alla Pasqua. Nel 2003 l’amministrazione di allora introdusse l’edizione serale, con la rappresentazione dell’inferno, fiamme annesse, particolarmente riuscita. Sul palco allo scopo furono collocati dei bracieri riempiti con liquido infiammabile per produrre fiamme lungo tutta la recita. Capitò che durante il monologo di Lucifero si alzò un alito di vento e così al momento di uscire dalla botola trovai la strada sbarrata da lingue di fuoco. Impedito dalla maschera non mi resi conto dell’entità delle fiamme  che avevo attraversato, ma il forte calore che mi avvolse mi fece capire che il rischio che avevo corso era quello di finire all’inferno davvero. L’ultimo aneddoto è quello simpaticissimo che ricorda tutta Adrano.  Nessuno di noi attori si rese conto dell’accaduto, ma ci sembrò alquanto strano che in un passaggio drammatico della recita il pubblico scoppiasse in una fragorosa risata. Che è successo ci chiedemmo. Dove abbiamo sbagliato? Chi controllava che i propri  pantaloni non si fossero strappati, chi la maschera che non si fosse rotta. Niente di tutto ciò. Poi capimmo: la Morte, impersonata da un personaggio storico della Diavolata, infastidito dal suggeritore non si trattenne ed esclamò: “Menchia, ‘cca stobbitu”.

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