Da padre a papà: evoluzione del rapporto padre figlio

La figura paterna ha rappresentato fin dai tempi antichi, in tutte le popolazioni, l’autorità sia religiosa che politica. L’uomo ha sempre percepito la propria moglie e prole come di suo possesso, perché era lui a dover garantire il benessere della propria famiglia: gli dava un nome, delle regole da rispettare e gli tracciava la strada da seguire.

La figura paterna mai si lasciava andare alle fragilità del sentimento, poiché era costretto a mantenere un ruolo rigorosamente autoritario che lo ingabbiava e non gli permetteva di poter essere affettuoso con i propri figli. Nonostante questo rapporto distante, egli ha comunque ricoperto un ruolo importante nella crescita e nella formazione dei figli, infatti, in lui trovavano l’esempio di fortezza e perseveranza necessario per crearsi una personalità utile per affrontare gli ostacoli della vita. La figura della madre, invece, rappresentava l’affetto e la tenerezza. L’affetto fisico è, quindi, sostituito dall’autorevolezza di questa figura maschile assente e presente allo stesso tempo. Ogni figlio guarda al proprio padre con occhi di adulazione e/o disprezzo. Questa valenza polare è causata dalla maggiore o minore predisposizione del padre all’essere autorevole o possessivo.

Nel primo caso ci si riferisce a un padre-padrone che condiziona la vita della propria famiglia, di assetto patriarcale, e che è teso verso un comportamento aggressivo e oppressivo che causerà da parte dei figli la ribellione. Quest’ultima è prodotta da un rapporto padre-figlio di profonda conflittualità, avente alla base dei ruoli così esasperati da creare rispettivamente dei vincoli di dominio e dipendenza che intaccheranno lo sviluppo psicosociale del bambino.

A tal proposito, tra fine Ottocento e inizio Novecento, lo psicanalista tedesco Sigmund Freud pone la sua attenzione alla fase infantile del bambino per identificare il modo in cui il ruolo del padre influenza la sua prima formazione psicopersonale. Il meccanismo che individuerà prenderà poi il nome di “complesso di edipo”: il rapporto fra padre e figlio viene considerato di centrale importanza nella creazione della personalità del bambino che vede nella figura paterna una originaria ammirazione che sfocerà poi nella creazione di un distacco competitivo inconscio. La crescita del fanciullo, secondo il “complesso di edipo”, sarà improntata su una sempre più crescente imitazione e su un successivo tentativo di annientazione del padre, poiché rappresenta un ostacolo. Si verrà a creare un rapporto di competizione verso il genitore dello stesso sesso (padre) e un impulsivo desiderio incestuoso nei confronti del genitore del sesso opposto (madre). Ciò, secondo la concezione freudiana, accade nella prima fase dello sviluppo (verso i 4 anni, durante la fase fallica) poiché il bambino comincia a dirigere i propri impulsi sessuali verso la madre. Quindi, secondo il Complesso di Edipo il padre è visto come un rivale col quale battersi.

Al contrario, lo psicologo e saggista italiano del fine 1900, Massimo Recalcati ritiene che la figura del figlio non cerca un rivale ma altresì una figura paterna affettuosa su cui appoggiarsi. Egli teorizza il “Complesso di Telemaco”: è il rovescio del narcisistico complesso edipico, la figura genitoriale paterna è vista come possibilità di ereditare una legge giusta e quindi degli insegnamenti. La teoria di Recalcati afferma che il figlio cerca un confronto tenero e rispettoso con il padre e non più di aperto contrasto.

Due visioni a confronto opposte che ci permettono di comprendere come il rapporto padre-figlio possa essere ambivalente e molteplice.

Oggigiorno il rapporto col padre non ha equilibrio. Da una parte c’è il padre apprensivo che non riesce più a tramandare quei valori e quella morale che solo lui può dare ai propri figli, e dall’altra c’è il padre completamente assente che lascia a briglie sciolte i propri figli senza riuscire a dare questi un punto di riferimento.

Siamo in un’epoca priva di equilibrio, dove le esasperazioni fanno da padrone. Un padre sensibile è prezioso e altrettanto un padre che riesce a lasciare andare la mano dei propri figli per farli andare avanti in maniera autonoma, ma quando queste due caratteristiche sono portate in extremis il bambino può sviluppare o un forse sento di inferiorità e di incapacità nei confronti della realtà che lo circonda, oppure diventare un individuo che cova una forte rabbia e solitudine: entrambe potrebbero creare dei disagi psicologici al bambino.

E’ importante saper essere padre e papà allo stesso tempo, dare regole ma anche carezze e soprattutto è fondamentale comprendere e assistere i propri figli.

 

Liana Profita e Simone Puglisi 5^CP

Riguardo l'autore CORRIERE GIOVANI

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