Il fiume: luogo abitato da ninfe, paesaggio immaginifico, confine, limite, sSimetoolco.
Uno spazio fluido, poroso, attraversabile – e come un’artista che lavora l’argilla e la pietra, modella la terra e il cielo. Testimone silente della storia dell’uomo, generatore di città e di ricchezza. Connettore di popoli e teatro di mille leggende. A volte mostruoso, a volte generoso e fecondo; accoglie tra le sue pieghe e le sue anse, le città dell’uomo e degli dei, le città costruite e le città coltivate.
Nell’antichità, il fiume Simeto era navigabile e attraversato da chi voleva entrare fin dentro la valle, entrando dal mare – dall’acropoli di Paternò, era possibile persino vedere le navi che entravano dalla foce a est, sulla costa ionica. Ateniesi e Siracusani lo hanno solcato le sue acque e le città alleate – Centuripe e Paternò – hanno lottato in quella valle che il fiume separava.
L’interesse per questo luogo dell’eterotopia è antico e profondo.
Non mi stupirebbe se un giorno si trovassero persino le tracce (archeologiche) di un porto – dopo aver scoperto quella di un ponte romano in contrada Pietralunga – che in qualche modo collegassi il fiume all’acropoli. Non mi stupirebbe se un giorno si trovassero le tracce (archeologiche) del teatro che dall’acropoli – lungo il fianco di ponente – guarda il fiume e i monti mentre il sole si nasconde al tramonto.
Anche le recenti scoperte – sull’acropoli e sulle salinelle – dimostrano ancora una volta il legame tra la città, il fiume, le salinelle e il vulcano Etna. Questo è il paradigma che dovrebbe giustificare la ridefinizione dell’approccio alla ricerca storica, archeologica, in chiave multidisciplinare.
Al museo Paolo Orsi di Siracusa sono conservati reperti importanti come capitelli, ceramiche, sculture ecc. a testimonianza di una presenza urbana consolidata; a Berlino i preziosi argenti. Gli scavi recenti hanno restituito tracce inconfondibili dell’esistenza della città, con impianti di canalizzazione idrica, veneri, cippi, ceramiche ecc.
Le tracce di quella città (greca/romana), che occupava l’attuale acropoli (Ibla Major) sono state esplorate durante i lavori del restauro di San Francesco, insieme al modello urbano (cardo e decumani) che risolve il rebus dei monumenti (XI-XVIII sec.) che sembrano messi li per caso, sulla sommità del Nek.
Ma tanto c’è ancora da esplorare e verificare e credo che una campagna di scavi e indagini sul versante di ponente dell’acropoli è necessaria e inderogabile.
Il fiume e il Nek (la definizione geologica della collina storica) sono quindi l’origine e il sostentamento di questa città (Ibla Major), e su questi due ecosistemi è necessario concentrarsi: il fiume con la sua valle e l’acropoli con i suoi giacimenti archeologici.
Il fiume, il porto, il mercato, il teatro, la città, i templi, le terme e i luoghi della magia (salinelle e le bocche gassose dell’acropoli). Questi i temi e i luoghi da indagare.
Serve un progetto organico e integrato di ricerca – che coinvolga tutte le istituzioni (sovrintendenza, università, scuole, professioni, enti locali e associazioni). Serve la definizione di un modello di sviluppo innovativo, che punti sull’agricoltura (compreso il suo indotto) e sulla cultura (che significa avviare seriamente il link turistico). Serve un’armatura della mobilità pubblica, che sostenga questo modello di sviluppo. Serve uscire subito dall’equivoco, che la collina storica è un’emergenza solo medievale (le carte tematiche dei piani paesaggistici registrano erroneamente solo l’indicazione medievale con gravi conseguenze sul piano mediatico e della ricerca).
Serve un progetto politico condiviso che – indipendentemente dal colore del momento – impegni tutti a raggiungere l’obiettivo della rigenerazione della città. Servono le cose già fatte, ma anche le cose da fare. Servono idee (tutte) valorizzando le diversità e non fondamentalismi. Serve una visione d’insieme, perché come ha dichiarato qualcuno, questo patrimonio è di tutti e non di pochi teocratici.
L’acropoli e la valle del Simeto sono il nostro futuro felice. Sono l’occasione per il rilancio di questo distretto e tutto ciò non può prescindere dalla costruzione di una mobilità di sistema, senza la quale siamo veramente nel medioevo. Un grosso contributo, è quello che alcune realtà associative già danno, con azioni di resilienza; ma bisogna andare oltre per “coltivare e custodire la terra”.
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