Bugie e le verità (parte seconda)

(continua dalla pagina precedente)

L’artista sa benissimo che si tratta di una visione parziale e originale; che questa sua selezione prospettica è una scelta, una modalità espressiva, un suo modo di vedere; non si arrogherebbe mai il diritto di conferire alla sua prospettiva il significato di verità assoluta. Nella nostra società avviene, invece, talvolta il contrario. Una visione personale diventa assoluta e statica.

Qualche tempo fa leggevo di una teoria secondo la quale il Cristianesimo, con il suo monoteismo statico ha privato la nostra società del dinamismo delle idee, delle visioni multiple. Il paganesimo greco, fatto di una forma di monoteismo dinamico, permetteva la pluralità delle verità come condizione ordinaria. In pratica sia il Cristianesimo che il paganesimo greco-romano miravano al logos unico, all’ordine che governava il cosmo. Forzando l’idea, potremmo dire che entrambe sono visioni monoteiste – diversamente avviene nel lontano oriente – ma mentre Talete, Anassimandro, Eraclito, Socrate, Aristotele e Platone, pur riconoscendo il logos mettono in conto il dubbio, per il Cristianesimo l’ordine presuppone una verità assoluta, unica, bidimensionale. Forse il passaggio tra la tridimensionalità della pittura romana e la bidimensionalità dell’arte Bizantina può spiegarci qualcosa in questo senso.

Credo che anche alcuni fanatismi teologici, politici, ideologici in genere, siano il risultato di un monoteismo statico che ha privato la nostra cultura del dubbio come condizione permanente. Ovviamente la scienza e gli scienziati sono quella parte di mondo che ha continuato a vivere nel dubbio, consapevoli che esistono tante verità da scoprire e indagare. Anche loro credono nel logos unico ma sono consapevoli della tridimensionalità dello spazio fisico e trascendente e percettivo.

I Greci e i Romani – hanno avuto grandi intuizioni – tra mitologie e storie, tra immaginario e reale, tra imitazione e realtà; offrivano un palinsesto di visioni e soluzioni – per descrivere e rappresentare l’universo – che rendeva infinite la possibilità percettive. In sintesi la parola d’ordine era: parliamone.

Credo, che anche l’immedesimarsi nell’altro, nel diverso, nello straniero sia frutto del processo culturale greco-romano. Pensare da un diverso punto di vista che non è il nostro. La monodirezionalità della basilica Cristiana – a dispetto della basilica Romana (multidirezionale) è significativa. L’esigenza di cancellare il paganesimo – nella sua rappresentazione iconografica – è l’esigenza di sostituire un sistema culturale a più verità con uno a verità unica. Quante opere sono state cancellate e demolite per questo motivo, privandoci di capolavori e della storia delle città antiche, spesso sepolte?

Questa riflessione non ha l’esigenza, tantomeno l’ambizione di dare giudizi di merito ma di riflettere sul concetto di verità: narrata, rappresentata, percepita. Nell’arte, per esempio. Nelle conversazioni, spesso. Rappresentare è comunque una simulazione della realtà e in particolare, una parte di realtà, quella a noi più congeniale o spesso comoda.

In pratica una bugia può considerarsi una diversa simulazione della realtà, una diversa rappresentazione che tiene conto di altri fattori -originali – che il costruttore di bugie ritiene verità. Forse il Cristianesimo – con una certa forma di pragmatismo – ha cercato di mettere una rotaia alle idee, permettendo una visione originale ma lungo una traccia definita. Resta da chiedersi, se la storia di Ulisse è una bugia o una diversa verità. Resta da chiedersi – ancora oggi- se qualcuno racconta “bugie” per offrire diverse visuali o per determinare una verità assoluta e comoda. E’ inevitabile non pensare a Pirandello, maestro di queste riflessioni.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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