Arte e artisti dimenticati, un patrimonio culturale da valorizzare

L’arte e la bellezza (forse) salverà il mondo. E’ una delle più famose citazioni attribuita a F. Dostoevskij – declinata e indagata da filosofi, teologi e artisti, da sempre. Dagli antichi greci – fino alle più recenti riflessioni di A. Heller e Z. Bauman – il mondo si interroga sul significato e sulle implicazioni pratiche di questo assioma.

Anche Papa Francesco, parla della “la via Pulchritudinis” (la via della bellezza), – come strumento per arrivare al cuore delle persone e suscitare l’amore che attrae, (Esortazione, La gioia del Vangelo, n. 167).

Una comunità che non coglie questa dimensione culturale, è destinata a desertificare la propria identità. Quello che spesso viene chiamato pragmatismo funzionale, non è altro che una maschera per nascondere l’aridità dello spirito e il decadimento della società. Dalla preistoria ad oggi, gli artisti hanno rappresentato la “Natura” – terrena e divina; figurale e geometrica; visibile e invisibile; attraverso quel sottile filo che unisce l’Uomo al senso del Divino. Come narrava d’Inessa, (artista paternese) quel filo che unisce un bambino al suo palloncino, è proprio l’arte, e la sua funzione è raccontare il rapporto infinito tra Noi e Dio.

In questo senso, l’arte e gli artisti, hanno la funzione di educare alla bellezza, permettendo di riconoscerla, intimamente. L’architettura, la musica, la pittura, la scultura, la poesia, la danza e il cinema sono le sette arti di cui l’umanità gode, assaporandone le innumerevoli declinazioni nel tempo e nello spazio. L’uomo che si priva di queste esperienze, non comprende che Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza(vv 112-120 XXVI canto – Ulisse, Inferno, Divina Commedia, Dante). Educare alla bellezza e riconoscere la bellezza. Questo è in sintesi il compito della scuola e di tutta una comunità (politica, economica, culturale e sociale) che crede nell’uomo e nel suo futuro armonico, dentro quel giardino planetario che è la terra (da coltivare e custodire).

Ritratto di Cannavò, Collezione privata – Riproduzione Riservata

Ma la nostra collettività ha la memoria corta. Ha dimenticato – o forse sostituito con delle copie sbiadite – i protagonisti veri dell’arte. L’elenco sarebbe lungo e faticoso da ricordare. Ma in questo spazio, mi pare doveroso accendere i riflettori su artisti come Cannavò, Palumbo, D’Inessa, che hanno colorato e scolpito i nostri paesaggi della memoria. Artisti ormai scomparsi che non hanno trovato una galleria d’arte a loro dedicata. Un museo che possa ospitare le opere, le storie e le collezioni ad essi ricondotte. Un peccato di superficialità che si rinnova ormai da decenni. (forse solo il lavoro di N. Lombardo con il suo portale Geniusloci, ha tentato di porre un parziale rimedio).

E che dire degli artisti contemporanei? Per esempio Borzì, Finocchiaro (che ormai vive in Germania), Bona, Indaco, Russo, solo per citarne alcuni, oltre ovviamente, all’artista- artigiano Messina (che almeno lui, altrove trova le giuste attenzioni) e a Borzì (l’architetto). Non me ne vogliano i cultori dei cantastorie, degli artisti di strada, degli attori e dei cantanti, ma c’è un vuoto nei confronti dell’arte e dei suoi protagonisti. Il tentativo di cancellare, banalizzare ed emarginare parti significative della storia. Certe volte persino la ridondanza di torre e salinelle – come unici testimonial – della cultura locale appare stridente. Questa cosa vale non solo per una città – Paternò – ma per tante altre realtà che rinunciano, inconsciamente a ricostruire gli strati nobili della loro storia.

Catania, da qualche anno a questa parte – ma devo dire anche Acireale e Caltagirone – hanno sviluppato una vera e propria macchina culturale, che mette al centro dell’agenda politica, l’arte. Mostre, eventi, spettacoli, istallazioni ecc. sono il palinsesto artistico che educa i cittadini alla bellezza. Artisti come Picasso, Escher e in questi giorni Toulouse-Lautrec sono esposti tra palazzo Platamone e Castello Ursino, mentre Maier alla Fondazione Puglisi Cosentino. Alla Galleria del Credito Siciliano e all’Arcivescovado di Acireale mostre, convegni e tanto altro e la stessa cosa a Caltagirone. Ovviamente oltre a questi grandi nomi, non mancano le occasioni per gli artisti nati in questa terra: Vaccarini, Fichera, Sciuto Patti e Leone, oltre a mostre di design, teatro, danza, poesia ecc. sempre ad altissimi livelli. Noi solo, Mangiafuoco e la Baronessa di Carini ( …) .

Che fare? Qualche tempo fa, si parlava di creare una regia culturale unica, per organizzare il rilancio delle nostre eccellenze artistiche. Certamente si potrebbe partire dall’organizzare un nuovo museo, per riappropriarci dei tanti reperti archeologici disseminati in ogni dove (quanti in Germania e al Paolo Orsi di Siracusa). Credo che sia necessario dedicare uno spazio espositivo – per le arti figurative e plastiche – per raccogliere le opere degli autori protagonisti della nostra storia, e realizzare esposizioni temporanee per i contemporanei. A questo aggiungerei un museo del carnevale per svelare alcune figure storiche di questa tradizione antropologica che ha reso celebre la città di Paternò. E che dire di un archivio storico, con l’importanza che merita, come avviene in paesi come la Spagna, la Francia e la Germania?

Tutto questo genererebbe economia, sviluppo, felicità e bellezza. Perché crea indotto e facilita il settore agricolo, industriale, artigianale ed edilizio (che pare sia morto). Arte e artisti come modalità di sviluppo sostenibile ed etico che trasforma la nostra identità in opportunità. Oltre Mangiafuoco e la Baronessa di Carini, c’è un patrimonio di eccellenze artistiche, storiche e contemporanee, che meritano di essere valorizzate.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

1 Comments

  1. Peccato caro Architetto Finocchiaro che anche lei ha la memoria corta. Perché oltre a Michele Cannavò, D’Inessa, Gioacchino Palumbo, c’é Adamo Impallomeni, Carmelo Caruso, Giusy Spampinato, Michele Bertino, Verna e ultimo ma non ultimo il Maestro Fallica che ha portato all’arte tanti di questi artisti che hanno animato la scena culturale negli anni 70,80 e 90. E negli anni recenti, Giuseppe Lemmo, Turi Leonardi, Carmelo AseroA prescindere dalle dimenticanze non volute e magari dovute a mancanza di spazio nell’editoriale, come dice lei giustamente si potrebbe fare tanto per la cultura a Paternò, ma l’unica domanda che mi esce é: Queste amministrazioni (non questa sola) sono capaci di fare cultura a Paternò? Ci sono fondi necessari? E se non ci sono fondi, si é capaci di attrarre investimenti da privati?
    Un affettuoso abbraccio
    Gianluigi Caruso

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