Commercio, ci sono i saldi ma non c’è la ripresa: indagine Confesercenti

 

La ripresa resta lontana. A una settimana dall’avvio dei saldi in Sicilia, a pensarla così è il 72 per cento dei commercianti dell’Isola. Il dato emerge da uno studio condotto in tempo reale da Confesercenti Sicilia intervistando un campione di 200 esercenti del settore moda e calzature per fotografare l’andamento dei saldi sui dati reali della prima settimana ma anche gli umori e le aspettative per il futuro. Il quadro che emerge è tutt’altro che roseo. Per il 59 per cento dei negozianti la situazione è uguale allo scorso anno. E a questa percentuale va ad aggiungersi il giudizio di chi (il 13% degli intervistati) dichiara addirittura “vendite in calo” rispetto allo scorso anno. Solo un 2 per cento considera, invece, l’andamento “molto buono”. Una voce flebile confinata peraltro solo in due province della Sicilia orientale: Ragusa e Siracusa. Per il resto, il feedback imperante che arriva dai commercianti, è quello di una situazione stagnante, una ripresa lenta, quasi inesistente, anche tra gli esercenti delle province che lo scorso anno avevano espresso toni ottimistici.
Ad Agrigento, ad esempio, nel 2018, l’80 per cento degli intervistati aveva segnalato un aumento delle vendite. Quest’anno a vedere positivo è solo il 30 per cento e lo stesso accade anche ad Enna che lo scorso anno aveva sorriso in periodo di saldi con un 62,50 per cento di negozianti che dichiarava un aumento delle vendite. A rimanere uguale secondo la categoria è anche il budget di spesa pro capite destinato agli acquisti e che non è ancora da fine crisi.
“Dai dati che abbiamo raccolto emerge una prospettiva stagnante, poco ottimistica rispetto al futuro – dice Vittorio Messina, presidente regionale di Confesercenti Sicilia – ai commercianti abbiamo chiesto di dare un giudizio oltre che sulla chiusura della prima settimana, sull’andamento che immaginano per il proseguo della stagione e solo il 26 per cento crede che la situazione possa migliorare mentre i più, il 74 per cento, considera che rimarrà stabile (51%) o addirittura andrà a peggiorare (23%). Più in generale per il 54% degli intervistati gli spazi per una significativa ripresa del settore moda sono pochi e per l’8% addirittura inesistenti”.
Un aspetto importante del sondaggio è però anche quello che monitora i sentimenti rispetto alle trasformazioni del settore: dalle vendite online agli effetti del ‘Black Friday’, dall’anticipazione dei saldi alle aperture domenicali e festive. Le vendite online non spaventano piu’ in province dove in tanti si sono adeguati ai tempi come a Catania. Qui per l’83,33 per cento dei negozianti la crescente diffusione delle vendite online non rappresenta piu’ un problema per l’impresa. E cosi’ e’, anche se in percentuali piu’ ridotte, a Palermo (40%) e Ragusa (44%). Il processo di adeguamento e innovazione delle imprese resta pero’ complessivamente lento, tanto che la crescente diffusione del commercio online viene considerata negativa dal 63 per cento dei negozianti siciliani. Sicilia a chiazze anche per quanto riguarda le aperture nei festivi e le domeniche ritenute positive a Caltanissetta (80%) Palermo (70%) e Catania (66,67%), decisamente meno influenti in altre citta’ come Messina dove tutti gli intervistati si sono espressi contro le aperture domenicali e festive giudicandole poco (60%) o per niente incisive (40%). Per il 68 per cento dei negozianti intervistati il ‘Black Friday’ ha drenato una parte delle risorse destinate ai saldi, ma a guardare i dati delle singole province si scopre un giudizio variegato e abitudini diverse dei consumatori. Cosi’ se a Messina, per esempio, il giudizio in questo senso e’ unanime (per il 60 per cento dei commercianti il venerdi’ nero ha drenato molte risorse, per il restante 40 abbastanza), ad Agrigento il 70% considera che non abbia pesato per nulla sugli effetti benefici dei saldi rispetto agli incassi. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Catania (66,67%), mentre Palermo e’ spaccata a meta’. Rispetto all’avvio anticipato dei saldi solo un 25% degli intervistati lo giudica un errore. Il 49 per cento trova la misura corretta mentre il 26 per cento si dichiara indifferente.

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