Maltempo, le città fanno acqua dopo gli abusi del territorio: ora serve un piano della permeabilità

Maltempo, le città fanno acqua dopo gli abusi del territorio: ora serve un piano della permeabilità

La Sicilia rischia di trasformarsi in un deserto.

Le previsioni dicono che entro il 2030 un terzo del territorio dell’isola sarebbe interessato da questo fenomeno. Dopo aver tagliato alberi per secoli, eliminando molti boschi, cementificando ogni superfice, ci ritroviamo a dove affrontare un’emergenza drammatica, che non può essere risolta con la bacchetta magica in un solo colpo.
Abbiamo usato e abusato del territorio. Lo abbiamo modellato senza pensare alle leggi della natura. Ci siamo fidati di una tecnologia sempre più energivora che ha assopito la nostra memoria costruttiva, dimenticando la saggezza dei nostri padri, fino a perderci in un labirinto di interessi personali che hanno umiliato il senso del bene comune.

Maltempo, le città fanno acqua dopo gli abusi del territorio: ora serve un piano della permeabilitàOggi dopo mesi di implorazioni, arriva l’acqua tanto sperata, ma sotto forma di nubifragio, o come si dice adesso, con le bombe d’acqua. Un fenomeno che abbiamo dimenticato, ma che invece c’è sempre stato. La pioggia con tutte le sue possibili modalità c’è sempre stata, leggera e insistente, improvvisa e violenta. Cosa è cambiato e perché tutto sembra più drammaticamente devastante?
Lo abbiamo detto prima. Con le nostre azioni sotto casa abbiamo trasformato l’ambiente. Sovrapponendo sulla superficie terrestre uno strato di impermeabilizzazione spesso e diffuso. Pavimenti di cemento e asfalto ovunque, sotto forma di piazze, strade, palazzi. Una superficie continua, invadente, senza soluzione di continuità. Una superficie che raccoglie canalizza, verso il mare, il fiume, verso qualunque bacino naturale e artificiale (le città).

Le città dovrebbero pensare a nuovi modi di pianificare i suoli a partire, non tanto dal costruito, ma dal disegno dei vuoti, dalla gestione delle superfici private e pubbliche che dovrebbero tornare permeabili, non solo come fatti sporadici ma come sistema reticolare. Un piano della permeabilità, un progetto in cui i protagonisti sono gli alberi e il governo dell’acqua. Un’infrastruttura della mobilità ecologica che si sovrappone a quella esistente, mettendo le basi per rendere la superfice sempre più assorbente.

Un cambio di paradigma, una visione che potrebbe persino immaginare un nuovo scenario tipologico per le costruzioni, il più possibile sollevate da terra, pensate come palafitte e lasciando il suolo alla sua vocazione, essere terra. Un’idea che potrebbe governare gli interventi sui nuovi edifici e persino sul recupero dei vecchi, introducendo l’idea dell’architettura parassita, come dispositivo architettonico che si introduce nel rudere.

Maltempo, le città fanno acqua dopo gli abusi del territorio: ora serve un piano della permeabilitàIl sollevamento dei mari, i nubifragi (escludendo le cavallette) impongono una riflessione urgente sulla forma della città del futuro. I cambiamenti climatici, i nuovi cicli stagionali con una diversa ciclicità delle temperature ci costringe a rivedere le tattiche abitative, le strategie a lungo termine, a partire dal quadro normativo, ripensando a una innovazione tecnologica che dovrebbe “adeguarsi” a tutto questo.

Ma ogni questione è complessa e si interseca con altri temi come la gestione dei rifiuti, la mobilità pubblica, le tecniche costruttive, la produzione di energie, la gestione delle risorse idriche ecc. da qui la necessità di pensare a nuovi strumenti di piano, a modelli di governo più sofisticati, che abbiamo come centro non tanto gli ambientalismi ma l’ambiente immaginato come un paesaggio.

C’è un’emergenza in atto. Non solo legata alle risorse, alla tenuta dell’ambiente ma anche etica. C’è la necessità di costruire un’etica pragmatica dell’ambiente, un modello di riferimento. Immaginare che non sia utile disegnare la città a partire dai palazzi ma dai corridoi verdi, dalle linee ecologiche, dai presidi di permeabilità. Coordinando polarità, riconnettendo parti sfrangiate di città, ricongiungendo la campagna alle piazze urbane. Pensando prima di tutto a governare le acque. Forse immaginando un modo più utile di gestire il sistema fognario, trasformandolo in risorsa invece che subirne le criticità.

Il confronto dialettico non può essere tra ambientalismi e liberismi. Semmai tra i portatori di saperi che possano ricostruire o rigenerare un rapporto più simbiotico e metabolico tra la natura e la città. Rimettendo al centro l’etica, il rispetto per la vita, la consapevolezza che siamo – gli esseri umani – solo una piccolissima parte di questo mondo, che rischi di cancellarlo o comprometterlo per sempre. Non esiste un piano B. senza una visione di piano, senza una strategia complessiva, senza un disegno sistemico, il rischio è quello di “macchiare” l’ambiente inconsapevolmente e irrimediabilmente.

Maltempo, le città fanno acqua dopo gli abusi del territorio: ora serve un piano della permeabilità

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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