Paternò, la stagione di Naso è al capolinea: il futuro è donna. Le metastasi politiche difficili da rimuovere

Paternò, la stagione di Naso è al capolinea: il futuro è donna. Le metastasi politiche difficili da rimuovere

“Il dado è tratto”.

La stagione politica di Nino Naso volge al termine. I segnali sono inequivocabili e l’ultimo tentativo di raddrizzare la barra sembra sfumare. La nuova giunta – nata dopo i fatti giudiziari del 15 aprile – non riesce a decollare, almeno non sono visibili gli sforzi profusi in questi mesi. E dopo le determinazioni giudiziarie del 30 settembre tutto è più complicato e l’onda dell’opinione pubblica – quella evidente e quella sommersa – si sta facendo strada, sentenziando di fatto la fine dell’esperienza “nasiana” in anticipo rispetto alla naturale scadenza. A poco serve l’accanimento terapeutico che tenta di tenere in vita una stagione politica ormai in coma profondo, sostenuta solo dalle macchine (alcuni consiglieri comunali). Un decadimento prevedibile, precipitato per le implicazioni che hanno e avranno le questioni giudiziarie che sono orientate verso un possibile scioglimento per infiltrazione mafiosa del governo della città e del suo Consiglio comunale. Inevitabile, ormai è questione di poco, forse anche prima della festa di Santa Barbara che non può proteggere tutti e per sempre.

Da tante parti, dalla politica alla società civile, dalla gente semplice agli osservatori esterni, tutti chiedono le dimissioni del sindaco e della giunta, in alternativa la mozione di sfiducia da parte del consiglio comunale. Il rischio per la città è di rimanere nelle mani di quella burocrazia comunale che è la concausa di questo scenario apocalittico, forse per dodici, diciotto o ventiquattro mesi. Sarebbe una tragedia per l’economia e c’è il rischio che la città possa essere travolta e seppellita per sempre da una gogna mediatica sempre più invadente.

Ma in questo caso la storia insegna e ritornano alla memoria di tutti gli anni ’90, quando finì miseramente l’esperienza della “prima repubblica” con le dimissioni di tutti, con la caccia alle streghe e l’arrivo di una stagione che veniva presentata come liberatoria per la città, vessillo di legalità. Una storia poco indagata e spesso idealizzata che forse ha deluso in parte le aspettative. È stata la stagione del “ligrestismo”, quel fenomeno che ha sbandierato valori e ideali ma che in pratica si è impantanato nel pragmatismo di alcuni suoi interpreti che sono diventati il cordone ombelicale mai reciso con il passato, che in questi giorni riemerge come un fantasma (questioni urbanistiche del IX comparto, per esempio, e tanto altro).

Oggi la cosa più spaventosa è sentire l’odore di quella stagione, quella della legalità come brand in esclusiva a pochi, e in particolare ai discendenti del “ligrestismo” o peggio ancora agli ex alleati di Nino Naso. I valori della legalità sono un patrimonio di tutti, cresciuti nelle tante case della politica, guidati dagli eroi che hanno combattuto le mafie come Falcone e Borsellino. La lotta alla mafia va praticata ogni giorno, in ogni luogo con coerenza e non solo nelle manifestazioni di piazza. Non si tratta di mettersi una maglietta pulita ma di tenerla pulita, valorizzando la coerenza. Non basta piantare un alberello.

Nelle sinistre e nelle destre, nell’associazionismo e nella gente comune, nelle aree moderate e nelle parrocchie, ovunque c’è il seme della legalità che è coltivato e curato costantemente, senza monopoli ed esclusività. Per questo motivo, oggi più che mai, non è possibile pensare che l’unico valore discriminante tra le future proposte politiche sia la legalità. Perché questa deve essere il territorio comune a tutti, la condizione di partenza di ogni ideologia. Immaginare di possedere l’esclusiva è un’atto di arroganza nei confronti di tutta la comunità. La società civile siamo tutti noi, di qualunque colore politico.

Allora la discriminante non può che essere il contenuto dell’agenda politica, la qualità dei suoi interpreti, la coerenza dei suoi sostenitori. Non possiamo chiedere il consenso solo perché “sembriamo” portatori sani di legalità. Quella del “ligrestismo” fu un’esperienza quasi illusoria perché non sradicò le anomalie amministrative, semmai ne consolidò altre, ancora oggi presenti e invadenti. E attenzione ai restauri politici di questi giorni, a quelle forme di recupero di antichi dinosauri mascherati da giovani intraprendenti, portatori sani di vecchi modelli, ormai obsoleti. Quelli che sembrano ma non sono. In questi anni si sono insinuati persino nella fauna e nella flora “nasista” acquisendo il controllo di molti processi decisionali e questi saranno i primi a rinnegare Nino Naso con suo grande dispiacere.

Non ci resta che sperare in una stagione politica veramente nuova, priva di pregiudizi e attenta nel valorizzare la meglio “gioventù” magari guardando con attenzione quelle figure femminili che meritano la nostra fiducia per la guida della città. Presenti sia nell’area moderata che a destra e a sinistra. Ci sono le risorse, serve scegliere chi ha idee, competenze e passione, visione e capacità di ascolto. È una partita difficile perché le metastasi della politica, antiche e nuova, nascosta da maschere, è ancora presente e determinata a “cambiare qualcosa per non cambiare nulla”. Vediamo chi propone azioni concrete nell’agenda del futuro e non ipocrite ideologie demagogiche. Nino Naso è finito politicamente ma merita il rispetto di tutti, dovrà affrontare con dignità le sue vicende personali ma deve lasciare libera questa città di ripartire (vediamo chi lo rinnegherà prima che canti il gallo). Una cosa è certa, molti di quelli che rinnegheranno hanno attinto al “nasismo” direttamente e indirettamente. La storia che deve essere scritta dagli anni ’90 ad oggi ci dirà cosa è veramente successo in quegli anni, relativamente ai sindaci, senza ideologismi di parte. E forse scopriremo che non era tutto oro quello che luccicava.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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