A Segesta l’arte contemporanea: il Tempio dorico si trasforma in un enorme telaio

A Segesta l’arte contemporanea: il Tempio dorico si trasforma in un enorme telaio

Il parco archeologico di Segesta ospita una performance d’arte contemporanea, curata dal direttore Luigi Biondo e dalle archeologhe Hedvig Evegren e Monica De Cesare. Mentre il progetto artistico è coordinato dall’artista Silvia Scaringella.

A Segesta l’arte contemporanea: il Tempio dorico si trasforma in un enorme telaio
Il programma si compone di tre opere performative: Pondus, Idrissa e Texere (che poi coincide con il titolo del progetto generale). In quest’ultima opera, – grazie alla partecipazione della Comunità di Calatafimi Segesta – il Tempio dorico si è trasformato in un enorme telaio, dove 1.222 metri di tessuto hanno dato forma a una decorazione a greca ricorrente nei vasi del V secolo a.C., epoca in cui fu edificato il tempio con le donne del territorio che hanno intessuto, a partire da abiti usati, una trama composta da tremila tessere. L’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con RISO, il museo di arte contemporanea di Palermo. Per approfondire è utile il contributo di Giulia Giaume, su Artribune.

Il punto è, che ancora una volta, come fu per Costas Varotsos nel 2022, si alza un polverone (in Sicilia) sull’opportunità di ospitare in un parco archeologico, un’opera di arte contemporanea. In particolare, un’opera che instaura un rapporto dialettico diretto con i resti del tempio dorico, tra i più acclamati del Mediterraneo. Ricomincia quello strano sport in cui tutti – sui social – diventano critici d’arte, conservatori, restauratori e artisti. Tutti a difesa dell’onorabilità della storia, della memoria, della testimonianza. Un festival che vede impegnati tanti protagonisti, dagli specialisti alla gente comune.
Questa formula di ospitare performance artistiche all’interno di un’area archeologica è ormai ricorrente in tutto il mondo e l’arte – potremmo dire le arti – diventano uno strumento didattico, promozionale, culturale e perché no, anche politico. Appare condivisibile la riflessione del critico d’arte Paolo Giansiracusa che sollecita l’arte e l’artista a denunciare l’assurdità dei conflitti e in particolare le atrocità che oggi subiscono, il popolo palestinese e gli ostaggi israeliani, vittime di una guerra assurda, inutile ed evitabile. L’arte può e deve essere la cassa di risonanza, recuperando quell’utilità politica e sociale che le spetta.
Possiamo comprendere il dibattito e la critica, il conflitto dialettico sui temi e sulle implicazioni dell’arte sul piano sociopolitico, ma bollare automaticamente ogni iniziativa come fosse una tragedia e una catastrofe nei confronti del patrimonio culturale della Sicilia diventa eccessivo e inaccettabile. Come fosse il telefono senza fili, a partire da un timido post sui social, si passa a una valanga di insulti ed epiteti che si espandono a macchia d’olio, coinvolgendo persino chi è abituato a tollerare violenze nei confronti del paesaggio, della storia e dell’ambiente. Forse sarebbe meglio educare e indirizzare verso una consapevolezza culturale nei confronti di queste opere contemporanee di arte performativa e aiutare le comunità a capire.

A Segesta l’arte contemporanea: il Tempio dorico si trasforma in un enorme telaio
Assistiamo spesso a tensioni contrapposte, verso una conservazione ingessante o al contrario verso un’indifferenza devastante. Il paesaggio, la nostra storia, i beni culturali materiali e immateriali vengono idealizzati o deturpati spesso senza il giusto equilibrio. L’innesto dell’arte nei contesti fragili della storia può essere l’avanguardia di una modalità operativa educante e rigenerativa. Attualizzante e stimolante nei confronti di una cultura collettiva che spesso è storicistica a singhiozzo o a convenienza.

L’esperienza di Igor Mitoraj e di Costas Varostos sono emblematiche. Ma basta un solo intervento dissonante, magari teleguidato, che si scatena un furor di popolo senza senso. Invece sarebbe auspicabile che i nostri parchi archeologici, le città e i paesaggi, siano costantemente interessati dalle incursioni dell’arte (non solo contemporanea), con opere e performance dal valore internazionale. Magari per raccontare un’idea, un preciso pensiero culturale, etico e politico. Utilizzando i tanti linguaggi disponibili per l’arte come la danza, la musica, il teatro, il cinema, la letteratura e le arti visive e plastiche, oggi anche quelle digitali. Arte che contamina, che si pone come antagonista o mimetica rispetto al bene storico.

A Segesta l’arte contemporanea: il Tempio dorico si trasforma in un enorme telaio
Una vivacità artistica di cui abbiamo bisogno, per andare oltre questo puritanesimo domenicale, questo bigottismo culturale, oltre le critiche a orologeria. Abbiamo bisogno di ritornare all’arte, diffusa nelle nostre città, accessibile a tutti.

Quasi per ricreare quella via della bellezza che diventa rete tra le comunità siciliane. In questo senso dobbiamo incitare, sollecitare, incoraggiare, specie in quelle realtà, oggi periferiche, che hanno bisogno di arte per rivivere: storica e contemporanea. Abbiamo bisogno di bellezza, di imparare, di scoprire. Per tornare a essere quella terra che ha ospitato Laurana e Gagini, due famiglie di artisti venuti da lontano che hanno reso più bella la Sicilia, attraverso una presenza capillare in ogni città.

Abbiamo bisogno di celebrare la contaminazione nell’arte che è sempre stata attiva in Sicilia. Una contaminazione di linguaggi, di modalità, di temi, che attraversano il tempo, siamo stati lo spazio per la sperimentazione dell’arte nei secoli, dobbiamo continuare ad esserlo senza timore, attenti alla qualità delle cose, raccontando idee e valori.

In Sicilia 3 installazioni trasformano il Parco Archeologico di Segesta in un ordito di storie

Arte contemporanea al Parco di Segesta, con l’installazione di Silvia Scaringella

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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