Insieme all’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco avrebbe «istigato» l’allora pm Gioacchino Natoli e il capitano, ora generale della Finanza, Stefano Screpanti, a condurre «un’indagine apparente» sulle presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane limitando temporalmente la durata delle intercettazioni e il numero dei soggetti da tenere sotto controllo. È una delle accuse che i pm di Caltanissetta rivolgono all’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
Pignatone, all’epoca dei fatti contestati in servizio nel capoluogo siciliano, è indagato insieme a Natoli e Screpanti per favoreggiamento a Cosa nostra per avere insabbiato un filone della cosiddetta inchiesta mafia-appalti. All’ex capo della Procura di Roma, ora presidente del tribunale vaticano, i colleghi di Caltanissetta contestano anche di avere istigato Natoli a chiedere l’archiviazione del procedimento sulle cave «senza curarsi di effettuare ulteriori indagini con particolare riguardo alle intercettazioni telefoniche».
L’inquinamento dell’indagine e la successiva archiviazione sarebbe stata finalizzata, secondo l’accusa, ad aiutare imprenditori mafiosi come Antonino Buscemi e Francesco Bonura a eludere gli accertamenti degli investigatori. «Infine, per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche – scrivono i pm nell’invito a comparire notificato nei giorni scorsi a Pignatone, che ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere – istigava Natoli a disporre la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci (con le intercettazioni)». La procura di Caltanissetta avrebbe anche disposto una perizia grafica sull’ordine di distruzione e di smagnetizzazione, in una prima fase attribuito a Natoli. L’ex pm ha negato che la grafia fosse la sua, da qui la perizia che, secondo quanto si apprende, sarebbe giunta a conclusioni non decisive sull’autore, sostenendo che non possa escludersi che si tratti della scrittura di Pignatone.
L’archiviazione del dossier mafia-appalti, già oggetto di indagine conclusa in un nulla di fatto, è tornata di attualità a Caltanissetta. I magistrati stanno cercando di accertare se, come ritengono i familiari del giudice Paolo Borsellino, il procedimento sulle infiltrazioni di Cosa nostra nei grandi lavori pubblici possa essere stato il movente della strage di via D’Amelio. Borsellino, secondo questa ricostruzione, sarebbe stato ucciso proprio perchè non approfondisse l’inchiesta.