Il futuro del campo di calcio Falcone Borsellino a Paternò è il tema del giorno.
Tra incontri palermitani e spot televisivi, tra dichiarazioni e smentite, si sta consumando l’ennesimo dibattito dall’esito incerto.
Sono a confronto due differenti visioni: chi prende atto dell’inefficacia delle azioni amministrative e chi difende il proprio operato,sbandierando carte. La posta in gioco non è solo il futuro dell’impianto sportivo ma l’acquisizione dei numerosi elettori-tifosi e il loro sostegno all’una o all’altra parte. Non è una partita di calcio, né una gara di solidarietà, ma una corsa ad accaparrassi i favori di una parte consistente della tifoseria locale, influente e determinante.
La vittoria della Coppa Italia (di categoria), l’iscrizione della squadra di calcio del Paternò al campionato di serie D e i recenti accordi di collaborazione, tra il Catania di Ross Pelligra e il Paternò di Ivan Mazzamuto, sono l’occasione condividere una riflessione più ampia sul tema, a partire dalle implicazioni urbanistiche che l’intervento di riqualificazione e potenziamento dell’impianto sportivo comporta sulla città.
L’esperienza più recente ci insegna che, oggi più che mai, i campi di calcio non sono solo impianti sportivi e che tutte le squadre tendono a realizzarli con nuove metodologie funzionali e commerciali. In Italia e in tutto il mondo sono le stesse squadre di calcio a gestire l’impianto, la sua realizzazione e le eventuali trasformazioni. Lo stesso Catania calcio sta percorrendo questa strada. I comuni – afflitti da mille problemi – non possono e non devono imbarcarsi in avventure piratesche, in particolare, quelli che non hanno nemmeno il personale tecnico specializzato per approntare i progetti (tranne che, qualcuno da fuori, di nascosto, foraggia). Un accordo tra comune e società potrebbe, al contrario, agevolare altre modalità di costruzione e gestione; per esempio – come suggeriva poco tempo fa Vincenzo Anicito della Gazzetta Rossazzurra– con l’istituto del project financing. Non è l’unica soluzione ma certamente è meritevole di valutazione e approfondimento. E perché non immaginare un intervento che preveda anche la realizzazione di spazi commerciali e sportivi a supporto del campo di calcio? Come avviene ovunque (vedi Pavia).
Quest’ultima considerazione apre a nuovi scenari.
L’impianto si trova all’interno di un distretto più ampio, caratterizzato da diversi focus: archeologico, naturalistico, infrastrutturale, turistico, sportivo. Il quartiere Salinelle-San Marco è un “unicum” urbano che meriterebbe un disegno organico. La presenza della circumvallazione nord della città, della stazione ferroviaria dismessa di San Marco, dell’ex Macello, oltre al velodromo (oggetto di un altro intervento puntuale), alla fonte Maimonide, ai campi di tennis, al sito archeologico di San Marco con le adiacenti Salinelle, e ancora, il palazzetto sportivo di via Bologna e le aree “risorsa” intorno – adiacenti a tutti i sistemi di viabilità – compresa la via Fabaria; e dell’area mercatale settimanale,che forse andrebbe rivista; impongono una riflessione di sistema. Non è possibile intervenire sui singoli oggetti senza disegnare (pianificare) preventivamente l’intero distretto. Questo è forse il tema politico e tecnico più impellente, la mancanza di una visione d’insieme che di fatto è il prerequisito per il coinvolgimento dei soggetti privati nella trasformazione del territorio.
Queste osservazioni spostano il focus; per esempio, se il sistema privato si occupa di gestire le trasformazioni dei grandi contenitori sportivi, coerentemente a un disegno urbano condiviso, l’amministrazione potrebbe concentrarsi nella realizzazione dei piccoli impianti sportivi, diffusi e collocati nella città, nei quartieri periferici abbandonati; persino nei centri storici, riconvertendo piccoli spazi interstiziali. Utilizzare i fondi dei bandi pubblici per sostenere la rigenerazione o la realizzazione di piccoli campi polifunzionali, su spazio pubblico o parrocchiale, per creare nuove occasioni di socialità diffusa è necessario. Sprecare i fondi pubblici, per impianti che possono essere finanziati dal privato, è un’occasione sprecata. Un’occasione rubata ai giovani dei quartieri popolari che sono privati di spazi e per di più indirizzati verso altre attività poco dignitose.
La politica dovrebbe essere capace di “scegliere”, di programmare, di gestire.
Dovrebbe anche essere cosciente della complessità di alcuni temi progettuali e non accontentarsi delle uniche cose che ha sottomano. Non riuscire a vedere oltre la tribuna, pensare esclusivamente all’oggi, compromettendo il futuro non è accettabile; accontentarsi senza guardare oltre, è un limite politico ormai consolidato. Oggi parliamo di un impianto da trasformare, che ha mostrato tutti i suoi limiti, già nella sua stessa concezione iniziale, molti anni fa. La stessa piccola visione, avulsa dal contesto, piccina e improvvisata, si ravvede nella sua odierna trasformazione. Come se gli attori della trasformazione facessero parte della stessa famiglia tecnico-culturale.
Serve un cambio di prospettiva e speriamo che gli imprenditori e Ivan Mazzamuto facciano tesoro dell’intelligenza imprenditoriale di Ross Pelligra. Sarebbe il momento giusto. I tifosi possono sognare ma devono uscire dalle sabbie mobili e guardare verso modelli più realistici. I fondi pubblici servono alle piccole strutture per la gente. Bisogna spostare la visuale del confronto coinvolgendo non solo i tifosi ma la città, perché certe scelte non possono essere fatte dentro le stanze chiuse del palazzo; per questo è necessario il dibattito pubblico preventivo; qualcuno la chiama partecipazione. Forse la “chiama” ma non la “pratica”. E all’improvviso piovono progetti dall’alto di cui non si conosce nemmeno l’autore vero.
Magari buttiamo milioni di euro per ingrandire lo stadio Borsellino ( ma poi perché lo hanno intitolato a un magistrato?) quando le ultime tre amministrazioni hanno distrutto paternò?