Guardare dal cielo: nuove visioni dello spazio urbano e naturale

Guardare dal cielo: nuove visioni dello spazio urbano e naturale

Stiamo cambiando il nostro modo di guardare le città, di misurarle, di attraversarle. Cambia il nostro punto di vista ormai diventato digitale, quindi virtuale.

Possiamo volare come uccelli pur restando con i piedi a terra. Google Maps ci ha trasformati in astronauti, capaci di girare il mondo, di scoprire nuove terre, nuovi mondi. In un attimo, ovunque siamo, possiamo andare lontani.

Guardare dal cielo: nuove visioni dello spazio urbano e naturaleIn questo modo si trasforma la nostra percezione della città e dei territori. Improvvisamente e simultaneamente possiamo vedere il dettaglio di un albero, dentro una piazza, e la sua ombra sul pavimento di terra battuta e l’insieme di città, fiumi, mari e monti in relazione tra loro. Siamo diventati geografi, esploratori della terra e qualche volta del cosmo, fino a raggiungere la Luna e persino Marte.
Occhi potenti che guardano ovunque, in tutte le direzioni, disponibili per tutti gli abitanti di questo pianeta a buon mercato, una forma di democrazia e partecipazione di cui non abbiamo ancora la consapevolezza. Ma una prima riflessione si può azzardare. Ci stiamo abituando sempre di più ad orientarci attraverso questi strumenti digitali e virtuali. Mappa interattive che forniscono innumerevoli informazioni.

Passano in secondo piano le visioni prospettiche che avevano caratterizzato lo spazio urbano e naturale, quelle delle processioni, dei viali, dei filari, degli slarghi e dei vicoli. Quelle raccontate dall’arte nei secoli, immortalate dai pittori sulle tele o descritte dalla letteratura e dall’architettura. Quelle visioni, a partire dallo sguardo dell’uomo verso il mondo e piantato a terra, sembrano un lontano ricordo. Per trovare gli archetipi, dobbiamo riscoprire la pittura dei paesaggisti tedeschi come quella di Caspar David Friedrich nell’opera “Ore sul sorgere del mare” del 1822 o le opere di Tullio Crali, “Incuneandosi nell’abitato” del 1939, esponente del Futurismo.

In questo modo nasce il “quinto prospetto”. Giorgio Parisi nel suo libro edito da Quodlibet nel 2022, dal titolo “In un volo di storni” afferma che “Guardare il cielo è andare oltre ogni limite, è accogliere lo sradicamento per andare in cerca, anche bruciandosi al calore del sole”. Ma come per la forza di gravità, come per gli oggetti che cadono tutti verso la terra, adesso, anche il nostro cielo, il nostro sguardo, ritorna a guardare il pianeta, dall’alto. E questa inversione di prospettiva determina una metamorfosi nel paesaggio percepito.

Guardare dal cielo: nuove visioni dello spazio urbano e naturalePrende forma l’idea che il quinto prospetto, quello che conosciamo con il nome di terrazza o coperture, può diventare un nuovo ingresso, una nuova facciata principale, visibile da tutti. Non più un luogo relittuale o di scarto, dove conservare i resti inanimati della nostra vita, spesso accatastati senza nessun ordine e privi di un progetto. Questi luoghi, ora visibili da tutti, possono raccontare la natura di chi li abita, sono un nuovo specchio. Possono accogliere le merci consegnate dai droni in un prossimo futuro e perché no, anche le persone.

La visione digitale dall’alto cambia il paradigma dell’architettura, determina una visione nuova che condiziona il progetto alla radice. Determina una nuova idea dello spazio pubblico e privato, prospetta un nuovo uso per i piani terra, quasi fino a riportarli alla loro funzione pre-rivoluzione industriale. Un possibile capovolgimento nell’organizzazione dell’abitare, le cui modalità sono state esplorate anche da Adalberto Libera a villa Malaparte.

Le terrazze potrebbero diventare altro, forse ritornare ad essere spazi per la socializzazione, per il tempo libero. Forse questi luoghi potrebbero accogliere la pedonalità urbana lasciando quella meccanica a terra. In ogni caso, qualunque possibile nuova determinazione, il cambio di prospettiva della conoscenza dello spazio sta determinando un disorientamento diffuso, almeno per adesso. Abbiamo ancora bisogno di campanili e cattedrali, di vallate e monti, di porticati e piazze. Forse, quando il metaverso ci assorbirà completamente dovremmo trovare una nuova griglia di riferimento per orientarci e agganciarci allo spazio reale, quello fenomenologico. Per lo spazio metafisico, l’uomo ha bisogno di cornici dentro le quali collocare la sua dimensione trascendente, per guardare verso il cielo e dal cielo. Rompere quelle cornici, quelle tracce di gravita, potrebbe farci perdere o forse trovare nuovi mondi e nuovi spazi.

Rimane il fatto, che oggi siamo nelle condizioni di guardare il dentro e il di dietro delle case, quella parte che nessuno intende far vedere a tutti. I ripostigli, le soffitte, i depositi, i luoghi dove collocare le macchine termiche. Luoghi che oggi hanno bisogno di essere ripensati, perché nuovi prospetti, nuove facciate. Pensavamo che ci fosse una parte privata dell’abitare e scopriamo che tutto questo non è più vero.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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