Edilizia scolastica, scoprire nuovi spazi per fare esplodere la creatività dei giovani

Vorrei suggerirvi una riflessione e un ricordo. Abbiamo tutti abitato – in una parte importante della nostra vita – una scuola. Ricordate quell’edificio? Ricordate la campanella, la corsa verso le aule, la bidella – quella sempre dolce? Oppure quando ci si nascondeva nei bagni, quando si sgattaiolava dall’ora di latino e di matematica. Quando ci si perdeva, guardando dalla finestra, pensando alla donna amata o al principe azzurro?

Sogni e speranze, tutte dentro un edificio. Dalla mattina e per mezza giornata, era la nostra casa. Lo è ancora adesso per milioni di studenti. Lo era per i nostri padri, lo è stato per noi e per i nostri figli. Forse non era bello, come la cattedrale, come la villa comunale, come il palazzo della più nobile delle famiglie. Forse nemmeno lo percepivamo ma era il nostro mondo, la nostra terra, il nostro regno e di lei – la scuola – ne conoscevamo ogni anfratto.

Dico questo perché oggi, vivendo questi luoghi magici e leggendari scopro sempre più che sono abbandonati. Non da chi li abita e li vive (studenti e tutto il personale che con essi costituisce la scuola) ma da chi li dovrebbe curare, accudire per renderli più sicuri e accoglienti.

La scuola, almeno come la intendiamo adesso, trova le sue origine, nell’esperienza scolastica dei monasteri e da essi prende la forma architettonica. Come un monastero, la scuola si sviluppa attraverso la successione di aule servite da un corridoio, che si articola attorno ad una corte. Ogni parte – chiesa, refettorio, ecc. – di quello che doveva essere il monastero diventa funzionale alla scuola. Sono le nobili origini di questa antica istituzione. Dovremmo ricordarcene.

Oggi abbiamo dato alla scuola forme e aspetto più moderno, più articolato, ma l’archetipo rimane sempre lo stesso. Il monastero: con tutte le sue parti pubbliche e private. In effetti, quando entriamo nelle scuole di oggi, dovremmo pensare che stiamo entrando in uno spazio sacro. Il luogo dove la nostra discendenza si forma per diventare cittadino. Dove costruiamo i nostri saperi. Il luogo dove studieremo la letteratura, l’arte, la geometria, la filosofia, l’economia, la scienza. Dove incontreremo il nostro mentore, la nostra figura guida, dove ci confesseremo, dove ameremo, dove scopriremo le sconfitte – le prime – e dove germoglierà il sorriso.

E’ per questo motivo e per tanti altri che le scuole devono avere più attenzioni, più cure. Chi lavora nelle scuole, le ama fino allo sfinimento. Molto meno i tecnocrati che su esse vigilano e ne programmano la manutenzione. Certe volte sommersi dalle carte della burocrazia, certe volte per apatia, certe volte per pigrizia. Un esercito di soldati (e generali) che si rifiutano di scendere in campo; eppure tante sono state le opportunità finanziarie offerte dai governi nazionali e regionali per non parlare della comunità europea.

Sembra – e forse a ragione – che l’unico interesse sia per le caldaie delle scuole.

Che fare? Aspettare con pazienza il decadimento? E’ necessario, al contrario, che bisogna fare qualcosa. Di recente il Ministero ha stanziato fondi e predisposto procedure per rimettere al centro del dibattito la qualità dello spazio scolastico. Tentativo lodevole ma in parte fallito per la macchinosità della proposta. Diversi bandi si sono succeduti, da quelli per la sicurezza sismica a quelli per l’efficientamento energetico. Questioni prioritarie ma distanti dal vero nocciolo della questione. Oltre alla sicurezza e il risparmio energetico è necessario dare qualità architettonica agli spazi dello studio. Parliamo tanto di rigenerare le periferie e i centri storici ma dobbiamo pensare anche alle scuole, a questi presidi di civiltà. La qualità dello spazio è una delle priorità. La qualità dell’architettura e dello spazio non è solo Firmitas e Utilitas, essa comprende la Venustas. (Vitruvio II sec.) in mancanza di quest’ultima questa è monca.

Il rischio è quello di fare abituare le future generazioni all’apatia e alla rassegnazione, nei confronti del degrado. Studiare in una scuola sicura, funzionale e bella, significa studiare bene, significa educarsi alla bellezza e alla mitezza. Significa diventare un presidio di legalità, di cittadinanza, di sapienza. Significa credere nel futuro e nelle nuove generazioni.

Recentemente, ho potuto constatare come – malgrado le criticità – gli sguardi degli studenti a volte luccicano. Ho verificato la passione che mettono in campo – dirigenti scolastici e professori – per difendere questo ultimo baluardo di civiltà. Con poche risorse, spesso governate da burocrati indifferenti alla scuola, lontani da essa. Forse l’istituzione dell’Ufficio Speciale di Progettazione delle Opere Pubbliche non è la strada giusta, se valutiamo i risultati ad oggi sul tema delle scuole. Tante risorse impegnate e pochi risultati. I committenti (le scuole e i loro dirigenti) svuotati di ogni funzione e responsabilità, solo passivi spettatori di scelte altrui (la progettazione industrializzata e centralizzata).

Basterebbe poco per trasformare un piccolo cortile in uno spazio espositivo, un relitto di terra in un giardino, la vecchia casa del custode in una radio, gli scantinati in una sala prove per la musica. Basterebbe poco per colorare le pareti sporche di un edificio ormai vecchio. Basterebbe poco per rimettere in sesto il vecchio campo di tennis e la pista per la corsa. Basterebbe educare i ragazzi al progetto, all’idea del progetto. Dal Latino al Coding, fino alla cultura del Progetto come metodo educativo, insegnare a progettare gli spazi significa educare alla consapevolezza di sé nello spazio, educare a vivere la città, educare i giovani al valore del processo creativo in opposizione all’improvvisazione e al dilettantismo. Alla necessità di trovare soluzioni semplici e a basso costo: per rigenerare, per riconquistare gli spazi perduti tra i relitti di una scuola sempre più sommersa da leggi e leggine – da adempimenti e obblighi – giusti ma spesso indifferenti alla qualità. Allora bisogna aprire una riflessione sulla loro vera utilità.

E’ necessario fare esplodere la creatività dei nostri giovani. Restituirgli la scuola, guidandoli in un processo di autoproduzione. E poi snellire le procedure. Semplificare i processi, sostenere la scuola veramente e non solo mediaticamente. Più risorse per far emergere la bellezza. Più risorse per trasformare le scuole in un presidio di arte, cultura, inclusione, nel territorio, con il territorio. La scuola come il luogo dell’incontro senza più recinti per svelare paesaggi, scoprire nuovi spazi per vivere le scuole.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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