Abbiamo scritto di tutto, ascoltato mille testimonianze e fotografate tutte le panchine dipinte di rosso in ogni città.
Eppure, Giulia con il suo corpo violato più volte dalla lama di un coltello, è stato ritrovata in fondo a una scarpata, abbandonata per sempre, come un sacco senza valore. Il suo aguzzino, ora in fuga verso il nulla, l’ha privata di un futuro possibile. Gli ha rubato l’opportunità di diventare quello che aveva sognato, un ingegnere, una madre, un’amica, una figlia, una sorella.
Nel 2023, i casi di femminicidio in Italia sono superiori a quelli dell’anno precedente. La dinamica rimane la stessa: lei, lui, i ricatti emotivi, la frustrazione, le lame di un coltello, il dramma di chi resta, l’impotenza di tutti e quel bravo ragazzo che diventa un mostro. Tra poco, una panchina sarà dipinta di rosso oppure una piazza riempita di scarpe. Una liturgia ormai logora e quasi inutile.
Sono secoli che il rapporto tra uomo e donna evidenzia troppe anomalie. L’uomo ha bisogno di essere aiutato, rieducato. Non è un problema esclusivo di chi evidenzia, in questi casi estremi, le patologie della violenza sulle donne. La questione è più complessa e profonda. Le ragioni sono prima di tutto culturali, affondano le radici nel tempo e sono la rappresentazione plastica della paura dell’uomo nei confronti della donna. Il confronto di genere ci fa paura, mette in discussione gli stereotipi che abbiamo assimilato e metabolizzato.
Il Minotauro e le sette vergini, Arianna e Teseo, Menelao con la “sua” Elena di Troia, Ulisse, Penelope e le sue donne, le streghe, i ginecei e le case chiuse, i santuari di venere e le sirene, Medea, Medusa e le Amazzoni. Un palinsesto di orrori al femminile o di modelli culturali che Eva Cantarella (storica) e Jean-Pierre Vernant (antropologo) hanno descritto mirabilmente, individuando quelle declinazioni culturali che hanno generato il nostro modello di riferimento. In contrapposizione a quell’esperienze che nella tradizione minoica ed egiziana, presente già nella cultura preistorica, ponevano al centro dell’universo la madre terra e quindi la donna.
Ma Teseo, Giasone, Achille, Agamennone, Menelao e Ulisse, quei micenei da sempre in mare in cerca di avventure, hanno ribaltato la storia creando una letteratura che ha emarginato la donna, fino a rinchiuderla tra le mura domestiche e persino la storiella dell’uomo cacciatore appare, oggi più che mai, una fake costruita ad arte: la donna produceva e conduceva le attività più importanti per la comunità (preistorica) e l’uomo in fin dei conti era il precursore di “Amazon” che consegnava e comunicava con il resto del mondo. La donna era l’imprenditore e l’uomo il corriere, tanto per riderci insieme.
Ma dobbiamo dirlo senza paura, le religioni non ci hanno aiutato, almeno nel passato. Dalla demonizzazione cristiana alla lapidazione ebraica fino al recente velo-gabbia islamico. Ma quanta paura hanno gli uomini di questo essere così prezioso da sentire la necessità di coprirlo, imbruttirlo fino ad eliminarlo ormai da secoli. Le religioni crescono e si evolvono, più o meno verso una nuova concezione che non è di parità ma di riconoscimento delle diversità.
La parità presuppone la misurazione del livello raggiunto in un continuo oscillare tra superiore e inferiore. La diversità ci parla di confronto, di complementarità, della necessità della compresenza. Non vogliamo essere uguali ma diversi e in questa diversità trovare le ragioni dell’incontro, la ricchezza del confronto, la bellezza di scoprire nuovi orizzonti e diversi modi di guardare il mondo. Il male è tentare di essere uguali.
L’uomo deve finire di misurarsi il pisello, di gareggiare come un gallo, di collezionare mutandine come fossero scalpi. Deve finirla di sentirsi sempre in gara con qualcuno. E quante volte il potere di un uomo in politica si misura nella quantità di “scopate” che riesce a collezionare? Il sesso come misura del successo, il sesso come merce di scambio, il sesso come l’anello di “Frodo”. Una società sesso centrica, maschilista, sessista che misura lunghezze e quantità.
In famiglia, a scuola, nello sport, ovunque, dobbiamo riscrivere una nuova letteratura, per misurare la qualità dei rapporti, l’equilibrio delle relazioni, riconsiderando il tema dell’incontro tra uomo e donna. Il sesso come donazione, come ricerca, come scoperta. La competizione intesa come un cammino leale tra uomini e donne per migliorare le condizioni dell’umanità. Giulia si stava laureando e lui ancora no. Giulia era sicuramente più matura e lui no. Bastava prenderne atto e seguirla nell’esempio, non era necessario superarla o impedirle di continuare a camminare. Bastava amarsi e amarla. Ora Giulia è morta e con lei, lui, gli altri, noi tutti. Profonda tristezza, educhiamo i nostri figli a una diversa concezione della competizione tra i generi. La diversità è bellezza del creato. Vince chi riconosce questa bellezza negli altri e non chi tenta di sopprimerla. Lui (insieme ai suoi genitori) ha perso ogni cosa. Ma nessuno è innocente. Dentro le nostre comunità si nascondono i germi di questo male, nascosti dai veli di omertà e di complicità. Aiutiamo chi ne soffre a venirne fuori. In tanti hanno paura. Bisogna ascoltare, denunciare, proteggere, rieducare.