
Dell’arancia rossa di Sicilia non si butta via niente: dai suoi scarti può derivare anche un potenziale alleato per il trattamento dell’encefalopatia epatica o Mhe, una sindrome neurologica associata a malattie croniche del fegato come la cirrosi.
Uno studio coordinato dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e dall’università Statale di Milano evidenzia infatti le proprietà dei sottoprodotti dell’arancia rossa nel mitigare gli effetti della Mhe. Al lavoro, pubblicato su ‘Biomedicines’ e finanziato da Alfasigma, hanno partecipato altri partner italiani e cinesi.
L’encefalopatia epatica – spiegano da Cnr e UniMi – è causata dall’accumulo di sostanze tossiche nel sangue, in particolare di ammoniaca, come conseguenza della ridotta capacità del fegato di metabolizzarle. Queste tossine, una volta raggiunto il cervello, provocano l’alterazione delle funzioni cognitive e motorie ed è importante trattare la Mhe tempestivamente per evitare l’insorgere di problematiche più gravi. «Nel nostro studio abbiamo verificato che l’estratto derivato dai sottoprodotti delle arance rosse, grazie alle sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, influisce su queste funzionalità», riferisce Francesco Meneguzzo, primo ricercatore del Cnr-Ibe e tra i coordinatori della ricerca. «Mediante la cavitazione idrodinamica, una tecnica di estrazione a bassa temperatura che utilizza l’acqua come solvente – illustra – in pochi minuti abbiamo sviluppato un fitocomplesso stabile che riesce a raggiungere fegato e cervello e che, attraverso la pectina, svolge anche una funzione prebiotica fornendo quindi nutrimento alla flora batterica intestinale».
La buccia di arancia rossa è nota per essere ricca di importanti composti bioattivi, quali polifenoli (principalmente esperidina), polisaccaridi (pectina) e oli essenziali (limonene), che hanno effetti positivi sulla salute, ma per la prima volta – si precisa in una nota – ne è stata dimostrata l’efficacia nei confronti dell’Mhe attraverso test in vivo. «Viste le risultanze delle attività terapeutiche effettuate a dosaggio ridotto, questo studio apre la strada alle prove cliniche del prodotto», prospetta Mario Dell’Agli, docente del Dipartimento di Scienze farmacologiche e biomolecolari `Rodolfo Paoletti´ e responsabile del Laboratorio di farmacognosia dell’università degli Studi di Milano. «Si tratta di una prospettiva molto importante – rimarca – e che auspichiamo possa essere concretizzata al più presto, per ampliare le possibilità di prevenzione e cura di una malattia così seria e invalidante».