Paternò, addio a Giovannino: l’ultimo dei galantuomini

Paternò, addio a Giovannino: l’ultimo dei galantuomini

La comunità di Paternò saluta Giovannino Sparpaglia.

Garbato, discreto, profondo conoscitore delle arti. Ci lascia dopo aver vissuto centoquattro anni, ci lascia la Domenica delle Palme, come se volesse celebrare la sua partenza con una festa.
Zio Giovannino, era patrimonio di tutti, Manrica e Pasquale – insieme alla loro famiglia -erano i custodi di questo valore che ha vissuto e attraversato due secoli. Un uomo che ha sperimentato il dramma della guerra e della deportazione nella Seconda guerra mondiale. Ogni volta che si provava a incensarlo, con titoli e liturgie, lui schivava ogni tentativo, riportando l’interlocutore a una conversazione più intima e sincera. Era diventato il nonno di tutti, lo zio di tanti, come testimonianza viva di resilienza. Era monarchico, Borbone, e ne andava fiero. Il primo a propormi uno sguardo diverso rispetto alla storia scritta dai vincenti. Era un romantico, forse nostalgico. Sempre a ricordare la sua amata dalle radici croate.
La musica e la lettura era il suo modo di essere vivo in questo mondo, dopo aver visto ogni cosa. I suoi racconti erano tersi, intensi, ricchi di dettagli illuminanti. Aveva la capacità di ricordare ogni cosa, ogni piccolo segno della storia dell’uomo. Era tenero, morbido, con uno sguardo vivido e indagatore. Leggeva le persone, le misurava, le pesava ma non l’ho mai visto giudicare.
Alcuni luoghi della sua dimora, alcuni spazi del suo palazzo erano il rifugio della sua anima; luoghi che custodivano libri, vinili, ricordi, di una qualità e profondità infinita. In tanti possono raccontare qualcosa di lui, conversava con tutti, di ogni età, di ogni rango. Discuteva di arte, di scrittori e musicisti, di soldati e contadini. Un racconto come una fiumara che invadeva ogni ospite del suo soggiorno a Palazzo Sparpaglia. Giovannino è un atlante di aneddoti, un caleidoscopio di micro-sfumature, quelle intime della gente comune.

Non ho mai conosciuto nessuno che avesse qualcosa da ridere su Giovannino.

Tutti pronti a farsi una foto con lui e oggi queste foto rimbalzano sui social, lui che era discreto e riservato, invade uno spazio digitale come se fosse un divo. Era sornione, indagatore, aperto alle innovazioni. Curioso, quasi ossessivo nel ricercare le tracce nascoste della storia. Con lo sguardo rivolto verso gli anfratti degli eventi. Ogni racconto ci riportava a tempi lontani con particolari che nessuno avrebbe mai registrato e questa era una delle sue maggiori doti, narrare.
L’ultima sua avventura era quella di costruire una rubrica dei soprannomi dei personaggi paternesi, a matita, su un quaderno dalla carta ingiallita, segnava i cognomi e le “ingiurie”. Costruendo una storia parallela dei personaggi elencati. Con lui bisogna camminare sempre con un registratore, una video camera. Forse tra le tante cose, perderemo anche una dei fonti dirette di quei fatti che hanno caratterizzato la storia di questa città.

Il padre, la sorella, gli zii, il Re, la prigionia.

Tutto attualizzato e reso vivo. Il mio incontro con lui è stato illuminante, circa trent’anni fa. Palazzo Sparpaglia, la sua casa, era in pessime condizioni e serviva un restauro radicale. Fu il mio primo lavoro importante come architetto e fu un lavoro avvincente, misterioso, intrigante. Il cantiere era un’esperienza unica proprio con lui vicino che era un documento vivente della fabbrica antica. Discutevamo di ogni cosa, di ogni scelta, di ogni dettaglio. Restaurare con lui accanto è stato come andare a scuola, come avere un compagno colto che conosce le ragioni di ogni segno architettonico. Conosceva a memoria la sua casa e vidi un disegno magnifico – altro che rilievo architettonico – che lui elaborò durante la prigionia. Una planimetria del palazzo che disegnò e lo aiutò a resistere alla solitudine. Io attingevo a ogni sua parola e restavo incantato.
Ho conosciuto la sua famiglia, la sua discendenza e credo che questo sia l’ennesimo regalo che ho avuto. Ho conosciuto le difficoltà di un mestiere difficile e quel restauro è stato una palestra di vita di professione. Ancora oggi guardo la facciata che lui paragono al “Vittoriale”, perché era docile e delicata. Anche su questo discutemmo, come succedere raramente di discutere con una committenza. Lui era Giovannino Sparpaglia. Elegante e galante con tutti. Il baffo, gli occhi, il suo vestire vintage, quella capigliatura bianca dal taglio antico, le sue movenze, quasi quel danzare con le mani, il suo cercare ogni cosa perduta nel suo museo domestico.

Oggi porgiamo l’ultimo saluto, ma prima di andare via ho avuto la fortuna e il tempo di rubare ancora una notizia preziosa. Da anni cercavo Palazzo Ronsisvalle, quello progettato da Francesco Fichera e non avevo idea di dove fosse. È bastato chiedere a quell’archivio vivente e scoprire dove era e cosa è diventato oggi. Un condominio come tanti. L’ennesima scoperta che solo lui poteva darmi. Ora non ci rimane che fare tesoro della sua testimonianza. Valorizzare il suo patrimonio immateriale, rendere disponibile agli studiosi la sua collezione di vinili e libri. Evitando di dimenticalo presto come per tanti altri uomini e donne illustri di questa città.
Il suo funerale non è un momento di intensa tristezza ma l’occasione per abbracciarci, per condividere l’onore di averlo conosciuto, lui, affacciato dal suo balcone, mentre legge un libro. Forse una delle immagini più iconiche che Paolo Di Caro ha rubato alla storia. Il modo migliore per ricordarlo vivo tra i vivi.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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