
Nei prossimi giorni gli architetti, i pianificatori, i paesaggisti e i conservatori, che afferiscono all’ordine professionale che comprende l’area etnea e calatina, si confronteranno per eleggere i quindici componenti del Consiglio dell’Ordineche resteranno in carica per i prossimi anni.
La sfida è tra due opposti schieramenti, tra uscenti e nuove proposte, tra ritorni e conferme. Ma la sensazione è che la competizione presenta due visioni simili – a leggere i programmi – che saranno declinate diversamente dai protagonisti. La differenza sarà proprio l’interpretazione dei temi proposti, la capacità di superare le criticità emerse in questi ultimi anni, di trovare una nuova rotta per traghettare questa comunità di professionisti verso gli scenari che si intravedono all’orizzonte.
La presenza di due liste contrapposte è la rappresentazione plastica di una crisi profonda, di una lacerazione che poteva essere ricucita ma che non si è compiuta. Non serve più cercare le cause, il dado è tratto e tra poco sapremo chi governerà il Consiglio dell’Ordine degli Architetti PPC.
Abbiamo però il dovere di dire che le due aree contrapposte sono il padre e il figlio che hanno perso in questi anni la voglia di stare insieme, di continuare un percorso che sembrava più solido, più produttivo. Due generazioni a confronto, quelli dell’esperienza e gli ex giovani, ormai diventati adulti. Forse tutto questo era prevedibile, forse qualcuno aveva persino profetizzato, ma tutto appare straordinariamente ordinario e triste.
Si potevano esplorare altre strade, quella dell’innesto tra le varie anime, o la creazione di un progetto di transizione che si proponesse di traghettare l’ordine verso una spiaggia sicura, avendo come garante un grande “saggio”, un padre fondatore, tra gli ex presidenti. Questa linea non ha avuto voce, non ha convinto, la voglia di confermare o riconquistare ha prevalso e ogni azione di mediazione si è spenta e quei protagonisti si sono silenziati, in attesa di capire cosa diventerà quest’organismo così prezioso per il territorio.
Vogliamo in questa sede, prima delle elezioni, sottolineare alcune emergenze, forse indirizzare – non tanto gli elettori –ma i candidati a fare tesoro del passato e della storia. Le ragioni di una certa “vaporizzazione” delle politiche ordinistiche hanno radici profonde e tante concause. Non vogliamo puntare il dito ma analizzare quelle più emergenti.
L’Ordine degli Architetti PPC ha perso i contatti con il territorio, con la politica, con le imprese, con le istituzioni. Ha perso i contatti sul piano strutturale e alcuni eventi sporadici – che possono essere citati – sono stati solo occasionali. L’ordine è uscito dal dibattito reale con i territori, con le città, covando un rapporto troppo personalistico con alcune agenzie formative. Ha perso il controllo delle regole d’ingaggio, non ha saputo cogliere il malessere strisciante, non è riuscito a ricucire i rapporti con la base, allargando la rappresentatività. Si è perso in alcuni “ambientalismi”, in estemporanee di nicchia, tentando di cogliere le ragioni del dibattito. Ma la realtà è che si è isolato, perdendo peso specifico. Il risultato è quasi l’anarchia nelle periferie del regno.
I dibattiti sulla città (troppo spesso solo Catania), sulle strategie, sulle modalità di trasformazione dei paesaggi è diventato sterile, con la conseguente perdita di credibilità. Sono stati fatti alcuni tentativi, sforzi per recuperare ma il risultato è stato scarno, quasi invisibile.
Da dove si può ripartire? La prima cosa a cui saranno chiamati gli eletti è la ricucitura, attraverso la scrittura di un’agenda condivisa e pensata da una base qualificata, evitando di costruire fossati e recinti, liste di prescrizione, aggregando il meglio che gli uomini e le donne di questo ordine possono esprimere.
Ricucire i rapporti con i “territori”, capendo che non c’è solo il caso Catania, ma un territorio etneo e calatino che meritano più attenzioni, uscendo da una gestione che ha creato élite geografiche, diventate ridondanti. Il termine che tutti utilizzano ma siamo in attesa di capirne la declinazione è “territorialità”, forse il vero punto di ripartenza per ricucire e rigenerare. Non è possibile che ogni azione sembra Catania centrica. Abbandonare i luoghi genera disaffezione, apatia. E magari capire che Catania non finisce in via Plebiscito e nemmeno a Nesima.
Ma serve anche affrontare una volta per tutte la questione etica, la qualità dell’architettura, la gestione degli incarichi e vorrei aggiungere la ricerca. A partire da un nuovo modo di pensare la collaborazione tra l’ordine (attraverso la sua fondazione) e l’università, insieme alla scuola, all’Ance, ai comuni e alla città metropolitana.
Un nuovo rapporto che abbia come baricentro le necessità del mercato, l’utilità delle azioni e la loro ricaduta sul piano formativo e professionale, ridiventando protagonisti e non supporto. Serve anche un nuovo modo di relazionarci con l’associazionismo del territorio, senza monopoli ideologici. Serve più di ogni altra cosa, sedersi insieme per ragionare, più che proclamare. Abbiamo molte risorse, tante eccellenze, bisogna ripartire da questi valori, andando oltre i numeri elettorali, che non certificano e giustificano la supponenza e la creazioni di monopoli culturali e gestionali.
Forse bisogna ripiantare l’albero, seminare un‘altra volta i campi, ascoltare i contadini anziani, aggiustare gli acquedotti, lavorare la terra, senza la frenesia di bruciare una nuova generazione di giovani. Forse aver lavorato nella contrapposizione tra aree geografiche, tra appartenenze anagrafiche, tra aderenze accademiche, tra vicinanze politiche,ha creato un corto circuito che oggi è manifesto. Auguriamo a tutti di fare la cosa giusta, di premiare la competenza –non tanto professionale – ma politica. L’ordine è un organismo prima di tutto politico, la fondazione è un organismo culturale. Servono entrambi ma devono parlarsi. Confondere i ruoli è un grave errore strategico.
E speriamo che si trovi il coraggio di fondare la rivista di architettura dell’ordine e quel grande progetto per il territorio che è la biennale di architettura del Mediterraneo e per finire la creazione nelle città periferiche di strutture specializzate di formazione e perché no, sedi di dipartimenti e uffici speciali. Territorialità, etica, utilità e sussidiarietà. Siamo fiduciosi, basta fare la cosa giusta, votando responsabilmente.