Paternò, le croci violate: la rinascenza di una comunità ferita

Paternò, le croci violate: la rinascenza di una comunità ferita

Le croci sono state abbattute. Lanciate come corpi inermi dal dirupo. Dall’alto dell’Acropoli di Hybla, nella notte, al buio.

Spogliate del loro velo, violentate come alberi sulla strada, da una macchina folle, senza scrupoli nella notte. Sradicate e buttate come sacchi di letame. Buttate, senza nessuna pietà, senza nessun conforto, come condannate a morte, come quei giovani argentini scomparsi senza memoria.

Paternò, le croci violate: la rinascenza di una comunità feritaNel luogo più sacro della città – dove gli dei hanno trovato la loro dimora dalla notte dei tempi; dove le donne hanno segnato la storia di quel luogo, con i loro nomi mitologici: Hybla, Parthenos – qualcuno ha deciso che era venuto il momento di giocare con la dignità di una comunità, di beffarsi delle sue “credenze”, della sua stessa storia. Qualcuno ha deciso che più utile “profanare” per provare qualcosa di nuovo, per emozionarsi, per ridere di tutti. Un gesto superficiale e banale, forse sarebbe meglio dire un gesto “cretino” cioè praticato da chi soffre di cretinismo convulsivo.

Alla storiella del gesto di matrice religiosa, figlio di uno strappo tra due confessioni, inteso come gesto intenzionale dal valore culturale e spirituale non ci crede nessuno. In un clima di caccia alle streghe qualcuno potrebbe cascare nella trappola dei populismi nazionalistici che descrivono per ogni criticità una matrice etnica. Lasciamo queste cosa ad altri. Siamo la Sicilia dell’accoglienza, dell’inclusione, della solidarietà. Siamo la Sicilia che crede ancora oggi nella sacralità dell’ospite, la cui storia è fatta di ibridazioni, di contaminazioni, di attraversamenti, di scambi di culture, da secoli. Siamo la Sicilia di Federico II, di Danilo Dolci.
Per queste ragioni la vicenda è più grave. Perché quello che potrebbe emergere è un quadro più complesso, che non esclude il “cretino ubriaco”, non certo un fedele osservante. Semmai un cretino, di quelli che non trovano pace in una città che sembra essersi persa, sepolta dall’indifferenza e dalla mediocrità. Semmai un cretino che non rappresenta nessuno, solo la sua solitudine. Ma il sospetto è che dietro c’è di più, di peggio.
La prima osservazione è che ormai molte parti della città sono state abbandonate, dalle istituzioni prima di tutto. Parti di città disabitate, mai curate, ridotte come relitti. Prive di un controllo costante, prive di vita, ricettacolo del malaffare, covo di bande, laboratorio di esperienzeal limite della decenza. Piazze di spaccio, luoghi per le sfide oltre ogni limite, all’ombra della notte, lontano dagli sguardi indiscreti, come tante altre aree della città. In queste parti dimenticate da dio, si infiltrano i fragili, i deboli, le vittime predestinate del nostro tempo.

Paternò, le croci violate: la rinascenza di una comunità feritaMa questa storia nasconde tanto altro, forse quella “banalità del male” che affligge certi giovanotti sempre alla ricerca di un’emozione forte per privare i brividi del pericolo. Le pagine dei giornali sono piene di delitti, di inutili gesti per dimostrare un finto coraggio.
Rimane oscuro il piano che abbiamo predisposto – dalle istituzioni in particolare – per mitigare questo fenomeno che troviamo sempre più presente. Rimane oscuro perché è più comodo trovare il colpevole nel cretino dal colore della pelle scura che nella nostra “brava” gioventù. A cosa serve indignarsi se i campi per lo sport non esistono da anni? A cosa serve stupirsi se questa città sembra spenta, con i suoi preziosi contenitori culturali, praticamente abbandonati, al massimo occupati da estemporanee pratiche culturali sempre a cura di quell’esercito di volontari che si sono sostituiti all’azione pubblica.

Se chiamiamo l’appello, in molti non risponderanno e pochi potranno dirsi presenti. Solo slogan, manifesti, propaganda. Il sistema dei beni culturali in città è ai minimi storici. Sono più le persone che seguono sui social che quello che partecipano agli venti al tal punto che le associazioni si devono prestare gli iscritti, per dare volume alle manifestazioni. Ma tutto questo serve solo a nascondere la nostra sterilità, l’apatia e forse la cosa più grave, la nostra contiguità.
Certe coerenze sono solo sulla carta, invece di ammettere la profonda crisi del sistema, nascondiamo tutto con delle belle foto intenti a piantare fiori – sempre gli stessi, sempre nello stesso luogo. In un mondo senza forma e futuro, tutto questo potrebbe sembrare già qualcosa ma è solo un modo per nascondere il malessere che qualcuno ha espresso con chiarezza l’altra notte. Due, tre, forse quattro, dalla risata isterica e dalle movenze buffe, avranno pensato di essere degli eroi a buttare giù un simbolo di cui sconoscono il significato.

Una croce, segno tangibile di identità, manifestazione di un credo, icona secolare del sacro, ridondanza della liturgia, rituale sentito dalla gente. Avranno capito tutto questo gli autori? Mah. La paura è che dietro tutto ciò c’è solo una risata fragorosa finita con una sgommata stridula, accompagnata da tanto alcool di bassa qualità. Mentre dall’altra parete c’è una comunità con il suo Arcivescovo, la comunità ecclesiale, i volontari, la gente semplice, che ha voglia di dire, “basta”. Forse non ha la forza, forse è stanca, forse è disillusa. Ma sotto la cenere dice “basta”. Forse sarebbe il momento di rimettere ordine, di ricominciare, di rigenerare ogni parte di questa comunità. Ripartendo dalle perifericità, dalle criticità sociali. Siamo in attesa di segnali forti, concreti e coerenti. Si dispensa dalla solite storielle che ormai danno persino il disgusto, sperando che quella piccola borghesia, che non ha dato molto, si faccia da parte. Ora, le Croci sono ancora a raccontare la loro storia, orgogliose e svettanti. Aspettando Pasqua, in attesa di una rinascita nuova. Una Rinascenza.

Paternò, le croci violate: la rinascenza di una comunità ferita

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

1 Comments

  1. Tutta gentaglia che merita di essere rinchiusa in galera con una palla al piede e un tozzo di pane dura e mezzolitro di acqua piovana. Per tutto questo la responsabilità è da attribuire alla politica locale e regionale.
    Naso Bis a zappare la chiana di catania

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