
La “percezione della sicurezza” nelle città è un dato importante per attrarre gli investimenti privati, per localizzare nuove imprese, per consolidare la presenza di quelle esistenti.
Lo sviluppo economico dipende da fattori misurabili e governabili. Come, per esempio, la facilità di accesso a luoghi e servizi, la certezza di tempi e modi per l’avvio delle attività, la disponibilità di risorse.
Non è obbligatorio realizzare tutti questi parametri ma se si vuole migliorare lo spazio abitato – perché ne abbiamo la responsabilità – dobbiamo mettere al centro della nostra agenda questi obiettivi. E lo dobbiamo fare seguendo una logica funzionale, collocando nel tempo e nello spazio tutte quelle azioni – trasformative e conservative – che sono necessarie.
Sicurezza, accessibilità, procedure e risorse. Sono i materiali con cui: politica, imprenditoria, società civile e istituzioni;si confrontano al fine di determinare scelte, indirizzi, visioni e pragmatismi. Una dialettica democratica, funzionale con un orizzonte possibile. E gli uomini e le donne che interpretano queste azioni hanno il dovere di essere coerenti alle premesse ideologiche ed etiche, per il bene delle comunità.
Tutto questo sembra ovvio e scontato ma così non è. Cioè in teoria dovrebbe esserlo ma nella pratica di tutti i giorni sono evidenti le discrepanze, le contraddizioni e le anomalie di sistema. Ma forse è giusto così, perché se non ci fossero le incongruenze stiamo descrivendo il “paradiso”. Quindi dobbiamo prendere atto che la felicità delle città è una chimera, un sogno, un desiderio, una tensione verso l’infinito.
Rimettiamo i piedi a terra.
Usciamo fuori da questa lunga premessa, disegniamo alcuni scenari. Le nostre comunità sono sempre più ibridate dalla presenza di nuovi emigranti, non come quelli del passato che provenivano dalle aree più depresse della Sicilia in cerca di fortuna. Ma quelli che oggi chiamiamo extracomunitari, che per convenzione sono chiamati anche africani e quindi musulmani. Dal colore scuro, dai diversi usi e dal differente credo. Forse scordiamo che questi non solo soli, insieme ci sono anche quelli provenienti dall’est dell’Europa che chiamiamo rumeni, anche se poi sono anche Ucraini e Bulgari. Per semplificare diciamo “gli altri”, gli “stranieri come l’etimo di Santa Barbara che significa straniera.
Quando una comunità, oppressa da una profonda crisi economica, sociale, culturale e politica, sente la necessità di alzare muri, costruire barriere e riprendere l’antica caccia alle streghe, significa che qualcosa è andato storto. La cosa più facile e semplice da fare e cercare un “capro espiatorio” a cui rovesciare tutte le incompiute di cui noi siamo responsabili. E a poco servono gli atti eroici dei parroci se poi le istituzioni arretrano con imbarazzante silenzio, a poco servono le dichiarazioni sulla parità di genere, sull’ecologia, sulla partecipazione, sul volontariato, sullo sviluppo economico sostenibile, se poi il resto della comunità si nasconde dietro ai cantonali diruti dei palazzi antichi.
Si nasconde, oppure in alternativa, si organizza all’interno delle chat private, nei salottini riservati, nelle conversazioni del lunedì mattina, quelle che una volta erano dedicate ai derby di calcio. Insomma, il solito muro di silenzio, tipico di questi tempi di prudenza elettorale (sembriamo sempre in attesa di una competizione dietro l’angolo) e d’ignavia caratteriale. Meglio non esporsi, meglio non dichiararsi, il mio nemico potrebbe essere il mio prossimo alleato e cosìfacendo sprofondiamo nell’apatia collettiva, emergono così i “mestieranti” e i ragazzi si perdono nel caos.
A buon intenditore poche parole, anche noi restiamo prudenti, in attesa di possibili novità.
Ci mancherebbe altro, prima che qualcuno ci sculetti a dovere per l’ardire delle nostre parole. Per l’arroganza, la saccenza, delle nostre argomentazioni. Per l’inopportuna esternazione che non rispetta la regola secolare del silenzio, accompagnata da qualche risatina in privato. Ma qualcosa ci scappa. Scusateci, pensiamo di dire cose anche per voi, per quelli che sentono l’esigenza di affrancarsi con messaggi privati, con condivisioni segrete, con paternali amicali sulla necessità di aspettare “l’era del cinghiale bianco”.
Per tutti voi, per tutti noi, la domanda è: siamo consapevoli che gli spazi urbani e rurali – come piazze, vie, salotti, fabbriche, palazzi, campagne e i luoghi della politica – sono invasi da un malessere più profondo, che si trasforma in agguati, risse, devianze, truffe? Siamo consapevoli che i santuari della socialità, della cultura, del confronto sono spariti sostituiti da surrogati, finti nella forma e nella sostanza? Le colpe sono sempre della TV, degli stranieri, degli altri? Esiste un piano di rigenerazione della città che tenga conto della possibilità di includere, di valorizzare, di coinvolgere, di mitigare, di regolamentare, di rilanciare? Un piano che preveda investimenti pubblici e privati -sistemici – per il bene collettivo e non per il bene di pochi lupi travestiti da agnelli? Sento sullo sfondo l’espressione colorita di Al Capone nel film “gli intoccabili “: “sei tutto chiacchere e distintivo”. È più comodo per la nostra coscienza, per guardarsi allo specchio senza avere paura. Quel “grillo parlante” è fastidioso e avete ragione.