L’Etna è un vulcano, il più alto in Europa.
Il sito di eccezionale valore universale, “costituisce una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative”. Il 21 giugno 2013 il Comitato del Patrimonio Mondiale ha iscritto il sito naturale “Mount Etna” nella lista del patrimonio naturale mondiale Unesco.
Il vulcano è stato abitato prima dagli Dei e successivamente dagli uomini. Narrato dall’arte, esplorato dalla mitologia e dalla storia. Un palinsesto di segni, simboli, significati, che rimandano alla sua natura titanica. Spazio immaginifico della letteratura, dimora di esseri fantastici ed eroici, dipinto e rappresentato in ogni sua forma, da ogni possibile angolatura, sempre custode di una terra che naviga nel mare. L’uomo e la natura hanno sancito un patto dentro le sue valli, lungo i pendii, verso il mare e verso la terra. Un patto antico, tra il fuoco e la pietra, tra l’uomo e la terra, tra l’acqua che lo circonda e gli esseri viventi che lo abitano, insieme alle ninfe, agli eroi, ai filosofi, lungo i sentieri che lo attraversano in ogni direzione.
Il vulcano ha sedimentato nei millenni un atlante di architettura alle diverse scale, ma in particolare è stato abitato sia per ragioni colturali che religiose. Si è costituito in tal senso un patrimonio diffuso di fabbriche – oggi – in gran parte dirute e in rovina. Piccole case, magazzini, stalle, rifugi, persino antichi monasteri. Abbandonati, degradati, destinati a sparire o peggio ancora trasformati secondo logiche che ne snaturano il senso.
Per queste ragioni è necessaria una riflessione che deve indagare tre possibili direzioni. Cose intendiamo per Etna, come vogliamo tutelarla e come vogliamo abitarla.
C’è una perimetrazione amministrativa che definisce l’ambito di governo del Parco dell’Etna, un’area vasta che include i comuni posti radialmente al cono principale. Questo perimetro – in vigore dall’istituzione del Parco – potrebbe essere rimodulato, includendo un’area più vasta – come gli stessi vulcanologi sostengono – che comprende tutti i territori fino a raggiungere i due corsi d’acqua che cingono il vulcano: il Simeto e l’Alcantara. Dentro questo spazio geologico sono inclusi “le Salinelle” di Belpasso e Paternò e lo stesso vulcanetto di Paternò, poi diventata Hybla Major, la città perduta.In ogni caso, ricomprendere il territorio di Paternò all’interno del Parco dell’Etna è una necessità se si vuole riconnettere il rapporto tra Etna, acropoli di Hybla Major e Salinelle, rapporto paesaggistico e geologico, antropico e mitologico, in passato evidenziato dalla stessa rete di mobilità storica. Basterebbe riprendere gli elementi essenziali contenuti nel piano paesaggistico e la carta delle colate laviche redatta dall’Ingv per scoprire l’ovvietà di tale nuova perimetrazione.
La necessità di tutelare è strettamente legata alle modalità dell’abitare. Tutelare un sistema biotipo, una specificità geologica, un sistema complesso che ha stratificato segni, storie e metamorfosi per millenni; oggi uno dei più importanti bacini idrici della Sicilia (pensate ancora al Simeto e all’Alcantara). Tutelare e abitare sono gli obiettivi a cui dovrebbero puntare gli enti di governo e di tutela, attraverso la codifica di pratiche del buon costruire sul piano della conservazione e dell’innovazione. Evitando di congelare, di mummificare, proponendo nuovi dispositivi formali, tecnologici e linguistici che mettano in risalto la memoria – evitando romanticherie – senza rinunciare alla qualità dell’abitare contemporaneo. La pratica dell’innesto e dell’architettura parassita, formalizzata da Sara Marini dello IUAV di Venezia sembra la strada giusta, quella che permetterebbe di introdurre “macchine” dell’abitare dentro i relitti architettonici, mantenendone lo scheletro storico.
Muri, pavimenti, coperture, bucature, tessiture, giaciture e sentieri, sono il patrimonio di segni che hanno determinato il paesaggio etneo, più volte deturpato da discutibili interventi di architettura pseudo rurale. In questo senso le ricerche degli ultimi anni, per esempio quella di Michele Sbacchi e Fabio Guarrera dell’Università di Palermo, sono interessanti e costituiscono un punto di partenza utile per definire un nuovo paradigma.
Bisognerebbe approfondire, esplorando alcune condizioni del progetto di architettura afferenti alle necessità di coprire, attraversare, recintare, puntellare, rivestire e fondare. Senza dimenticare altre tre questioni che devono essere interne alla ricerca, come la necessità di risolvere questioni legate alla acqua, all’energia e ai rifiuti. L’Etna pone questi quesiti che non possono essere trascurati se vogliamo veramente tutelare questo vulcano buono e saggio come ha descritto mirabilmente Maria Corti con il suo libro “Catasto magico” pubblicato dalla Einaudi Editori e forse è venuto il momento di sollecitarne la ristampa.