New economy, il dilemma degli agricoltori: coltivare la terra o disseminarla di pannelli fotovoltaici?

New economy, il dilemma degli agricoltori: coltivare la terra o disseminarla di pannelli fotovoltaici?

Grano o silicio? Oggi è questa la domanda.

Puntare sull’agricoltura o sul fotovoltaico? Sembra un paradosso, ma tra siccità che desertifica la terra e le opportunità offerte dalle normative e dalle risorse finanziarie, oggi più che mai, il contadino si pone questa domanda amletica. Coltivare la terra o disseminarla di pannelli di silicio per catturare il sole.

Una cosa è certa, la gestione dell’acqua e la produzione di energia (mettiamoci anche la questione dei rifiuti) sono tra i settori più produttivi dell’economia, quasi in regime di monopolio, determinando quindi una nuova élite politica che può governare indirettamente il territorio.

New economy, il dilemma degli agricoltori: coltivare la terra o disseminarla di pannelli fotovoltaici?Ma quali possono essere le possibili implicazioni che derivano da un progressivo cambio di paradigma economico? Mario Liverani con il suo lavoro sulla città e sulla formazione di essa (Uruk), già in epoca mesopotamica ci viene in aiuto. L’agricoltura, con la sua ciclicità e complessità, pone le basi per la creazione del proto-stato e quindi la società che oggi vediamo. Una società tripolare che si struttura in forma orizzontale e mette a sistema i contadini, i non contadini e l’élite politico-religiosa. Al contrario, le organizzazioni sociali che puntavano alla ricchezza derivata dai minerali preziosi – oro, argento – avevano una struttura sociale verticistica con una forte concentrazione di potere e di ricchezza nel re-guerriero. In pratica due modelli diversi sul piano economico, sociale e politico che determinano una diversa distribuzione della ricchezza. Oggi quei minerali preziosi di cui si parla tanto, sono quelli utili per costruire i semiconduttori, le batterie, i pannelli fotovoltaici e i cellulari per esempio.

E mentre quella prevalentemente agricola prevede una distribuzione più ampia della ricchezza, con una ciclicità reddituale nel tempo, quella basata sui minerali, al contrario, si basa sull’accumulo di ricchezza e sulla rendita da essa derivata. Per questo motivo, le due logiche determinano due modelli differenziati, il primo orizzontale e il secondo verticale. Se vogliamo visualizzare, da una parte le società mutuanti, con ricchezza diffusa, o meglio distribuita; dall’altra le organizzazioni che accentrano il potere, spesso caratterizzate da conflitti interni sulla successione, ancora oggi come in certi paesi dove le guerre non finiscono mai, un tempo con le pietre preziose, oggi con i minerali preziosi.

Ma cosa c’entra la domanda, grano o silicio? C’entra, perché se l’agricoltura lascia sempre più spazio al fotovoltaico, stiamo concentrando ricchezze nelle poche società – Amazon, Enel, – che gestiscono gli impianti, sewnza una vera ricaduta sull’economia del territorio. E i contributi previsti per legge sono un granello di sabbia rispetto alla portata dell’iniziativa. E spesso spesi anche senza una lungimiranza adeguata da parte degli enti locali. In pratica con pochi euro si paga la trasformazione, passando dall’economia circolare a quella monopolizzata e lineare.

Una politica ecologica, di transizione, può trasformarsi – se gestita male – in un boomerang per le nostre comunità. Dal grano alle arance, dalle arance al fotovoltaico, il passo è breve e se non viene governato questo processo, considerando che l’energia prodotta non è dei contadini-coltivatori ma delle grandi multinazionali, e tenuto conto che, i proprietari della terra, a fronte di un indennizzo non potranno vendere a nessuno l’energia ma essere loro stessi “consumatori”, come tutte le comunità, mi sembra che l’orizzonte prevedibile sia quello dell’impoverimento del tessuto produttivo, nascosto dall’illusione della ricchezza per tutti.

E allora che facciamo? Smettiamo con il fotovoltaico? No, ma serve puntare sull’agro-fotovoltaico. Sull’indipendenza energetica domestica, sulla filiera virtuosa del riciclo dei rifiuti, sulla produzione di energie atomica – la storiella del lupo nero degli ambientalismi non regge più – sulla gestione pubblica dell’acqua e sulla riqualificazione delle reti, sulle nuove tecnologie di irrigazioni della terra – e qui conviene sentire gli esperti israeliani.

La Sicilia deve fare un cambio di passo, deve rivedere le strategie complessive se non vuole diventare un deserto incombente. Se vuole tornare ad essere quel paradiso che descriveva Federico II a tutto il mondo. Ma deve modernizzarsi, deve trasformarsi senza perdere di vista i giacimenti che possiede da secoli: l’arte, la natura, il paesaggio, il clima (anche cambiato) e deve ritornare quella terra di boschi che oggi abbiamo dimenticato, senza rinunciare alla modernità, senza pregiudizi. Ma consapevoli delle trasformazioni profonde che ogni azione puntuale determina. Quindi si al silicio ma anche al grano, con equilibrio. La ricchezza sarà diffusa quando l’accesso all’energie, all’acqua, agli alimenti, alla casa, alla comunicazione e all’istruzione sarà più facilitato.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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