La Fondazione Federico II, guidata dal Presidente dell’ARS, on. Gaetano Galvagno esce dal palazzo e porta l’arte nelle strade della Sicilia, nei quartieri periferici, oltre i santuari della cultura, tra la gente.
Grazie a un progetto condiviso e scritto a più mani, nei prossimi mesi, in molte città siciliane sarà possibile apprezzare il lavoro di artisti siciliani e internazionali. Una lettura nuova e frescadella nostra società, narrata con un linguaggio artistico diretto e informale, che propone l’iconografia dei testimoni della lotta alle mafie e più in generale della lotta tra il bene contro il male, dove il bene trionfa.
Un viaggio nelle “strade da seguire”, quasi un monito, un possibile orizzonte, la rappresentazione di quella volontà condivisa di uscire dagli stereotipi che imprigionano questa terra. Per una Sicilia che deve celebrare i suoi eroi, perché sono i testimoni di una cultura di legalità e rinascenza. Quindi un progetto ambizioso con una modalità attuativa che si pone anche l’obiettivo di creare una rete, un sistema, a supporto di nuove narrazioni mediatiche e didattiche, utili per creare una via dell’Arte e degli Eroi da seguire della nostra terra, che diventi non solo portatrice di memoria e identità – ma anche opportunità turistica. Una visione di sistema, reticolare, che unisca le polarità individuate attraverso un progetto unitario, riconoscibile, ed espandibile.
L’incipit per avviare la rigenerazione urbana, certamente non la soluzione al degrado della città – non si può delegare tutto ai murales – ma lo stimolo a fare di più, ricostruendo l’identità dei luoghi, facilitando i processi complessi, accendendo i riflettori per attrarre nuove progettualità sul piano del disegno urbano, delle strategie attuative anche sul piano normativo. Che ognuno faccia la sua parte.
La compresenza degli artisti siciliani e internazionali ha il valore di attivare processi di incubazione e contaminazione utili per l’evoluzione di un pensiero umanistico, diffuso. I luoghi degli interventi saranno scelti privilegiando la loro la visibilità, la collocazione all’interno della rete regionale della mobilità storica facilmente raggiungibile e la loro perifericità. Un atlante di opere quasi a creare una costellazione che si conclude per il solstizio d’estate del prossimo anno.
Dall’antica Hybla Major, oggi Paternò, sede di uno dei più importanti santuari dei Palici in Sicilia. In un territorio che è stato protagonista di eventi efferati di mafia, che vive ancora oggi in uno spazio di confine precario tra legalità e malaffare, parte questo viaggio con tre artisti siciliani: Abramo, Ligama e Ruce. Tre storie, tre immagini, tre sogni. Tre opere che raccontano quella vivacità culturale che gli autori hanno maturato nella loro terra e in giro per il mondo. New York, Roma, Mosca, Lisbona, Parigi, sono le tappe esperienziali degli artisti, che si portano dietro la cultura operosa della ceramica calatina e il fuoco perpetuo dell’Etna, visibile nelle loro stesse opere pensate per Paternò: L’ulivo bianco, Piersanti Mattarella di Ligama. Legalità di Ruce. Quale futuro lasciamo ai nostri figli, di Abramo.
Figure, velature e surrealismi. Rimandi poetici alla cultura dei cantastorie, che questa città possiede nel suo DNA. Racconti e narrazioni, auspici ancestrali, come preghiere. Un palinsesto di colori vivi e sottesi. Simboli di martirio e speranza. Ficodindia e cuori, alberi e fanciulli. Un breviario di segni che indicano unapossibile via d’uscita a partire dalla dimensione ecologica. E poi donne velate e falchi. Giustizia e legalità, rimandi alla cultura della falconeria di Federico II e perché no a quell’eroe che era Falcone. Ogni cosa velata come se fosse fragile, impalpabile, forse la consapevolezza di essere umani, deperibili come l’intonaco su cui si addormentano dolcemente i colori che gli artisti offrono alla comunità. “All’ombra di un ulivo, non provo paura. guardo negli occhi il mio assassinio e mi annoio”. L’ulivo, il ficodindia, il falco. Un repertorio iconografico che attinge alla natura, che ripropone temi universali, figurali e simbolici come un mosaico bizantino. Luce per gli occhi, diversi, violenti e impalpabili, ma narrativi. La loro presenza conferisce monumentalità al luogo, e come sentinelle guardano l’ospedale di Paternò, proteggono quello spazio, determinano una via da seguire.
Ma la vera sorpresa è la gente, la comunità locale, i passanti. Curiosi, entusiasti, partecipanti. Un’esperienza di civiltà, di bellezza. Gli artisti, le maestranze a loro supporto, i colori, il posteggiatore, la vicina con il nipote, le mamme, la gente comune, tutti insieme a guardare, chiedere, quasi a toccare. Ormai è quasi necessario passare da quella via, soffermarsi anche per un attimo. Pregare, come atto di contemplazione intima e sperare. Il quartier ha bisogno di molto altro, di interventi strutturali, di attenzioni. Ma quei murales sono la speranza, una carezza, uno sguardo di complicità. Vedere i passanti che si fanno fotografare con gli artisti è la prova che la bellezza e l’arte deve essere di tutti, per tutti. Gli artisti come profeti. In questo senso, l’idea di street art proposta dalla Fondazione ha fatto centro. Dal palazzo Reale di Palermo alle strade e alle piazze della Sicilia. L’arte esce dai suoi santuari e si mette in processione come la santa patrona, per proporre una nuova liturgia della legalità.