Archi della Marina di Catania: sul loro destino serve un dibattito serio e non il chiacchiericcio sui social

Archi della Marina di Catania: sul loro destino serve un dibattito serio e non il chiacchiericcio sui social

Si accende il dibattito, anche aspramente, sulla possibile demolizione degli “Archi della Marina” a Catania.

Diventati un simbolo riconosciuto dalla città, sono nati come l’intromissione nel tessuto urbano, interposti tra la città e il mare, della linea ferroviaria nazionale. Da qualche anno l’ente ferrovie dello stato ha immaginato l’interramento della linea e quindi questa architettura infrastrutturale dell’800 – storicizzata – potrebbe diventare inutile nel nuovo scenario urbano. Sui social, come al solito, si contrappongono due ipotesi: quella della demolizione e quella del mantenimento.

Archi della Marina di Catania: sul loro destino serve un dibattito serio e non il chiacchiericcio sui socialSui social in tanti si stanno esprimendo a favore o contrari, ma è giusto sottolineare che molti vorrebbero salvare gli archi, conservarli, ovviamente riconfigurandoli per assolvere a nuove funzioni, più ecologiche: con piste ciclabili e pedonali, con panchine e un orto botanico lineare. Una passeggiata che collega il polo stazione-ciminiere-corso dei martiri con il castello Ursino nel cuore del centro storico, passando per la cala del porto, sfiorando palazzo Biscari, Porta Uzeda e la cattedrale. Recuperando tra l’altro lo spazio residuale a terra con nuovi servizi civici e commerciali.

Oppure eliminarli, ripristinare parte di una scenografia urbana preindustriale ormai dimenticata – presente solo nella letteratura e nell’iconografia storica – tentando di riconnettere la città storia al mare (l’attuale porto). Su questa ipotesi – ovviamente – ci sono meno fans, poche immagini persuasive e un perimetro culturale spaesato. In queste condizioni, al netto delle considerazioni tecniche e culturali, sembra prevalere lo scontro partitico, quello partigiano del tifoso.

Il rischio adesso è che tutto si trasformerà in una sterile contrapposizione, ideologizzata e strumentale per perimetrare appartenenze politiche (destra-sinistra). Tutti contro o tutti a favore. Ma è necessario considerare anche la compresenza di troppi attori di governo, di tutela, esecutivi e d’indirizzo (autorità portuale, ferrovie, comune, genio civile e soprintendenza) deve dovrebbero diventare un valore e non una criticità, come ad oggi sono.
Anche valorizzare le progettualità esistenti – e sono tante, e in questi giorni tornano a galla – mediandole con le esigenze attuali, con le necessità commerciali, tecniche e perché no, anche culturali. Un nuovo tormentone per i prossimi mesi: Archi della Marina sì o no?

Se qualcuno si aspetta, in questa sede, una precisa posizione si sbaglia. Semmai questa è l’occasione per promuovere un dialogo argomentativo. A partire da alcune domande sollecitando alcune visuali. La prima è che esiste un patrimonio id idee – concorsi e workshop – che andrebbero rivalutati. Strumenti pensati e governati dallo stesso comune di Catania e dagli ordini professionali ma a cui nessuno a data mai seguito.
Ma come non farsi la domanda delle domande? Gli archi sono una testimonianza storica, culturale, tipologica, paesaggistica a cui non vogliamo rinunciare, come collettività? Escludendo i “barabbismi” che spesso alterano la percezione della volontà popolare, bisognerebbe “ascoltare” le parti, sentire le categorie, le organizzazioni.

In una società, dove nessuno sbaglia e tutti vogliono vincere, dove a ogni vittoria (vera o finta) si deve dare un significato universale, è facile immaginare che il confronto tra le idee non trova casa, il metodo dicotomico di Noberto Bobbio è inutile, quello che poggia sulla consapevolezza del dubbio. Meglio urlare e declamare sentenze.

Archi della Marina di Catania: sul loro destino serve un dibattito serio e non il chiacchiericcio sui socialMa tutti sappiamo che il vero strumento per capire e scegliere è il progetto, inteso come sintesi predittiva di un programma complesso e interdisciplinare, inteso come un piano per “migliorare” le condizioni di partenza di uno spazio per renderlo utile alla collettività. Ma come raggiungere questo traguardo quando i poteri decisori sono separati e perimetrati? Le ferrovie dello stato, l’autorità portuale e il comune di Catania sono soggetti che dovrebbero sedersi più spesso e non solo in occasioni di rappresentanza. Inoltre, non è possibile parlare di un singolo oggetto urbano ma meglio di un sistema strategico più ampio, dove collocare le singole tattiche urbane e aggiungo facendo tesoro dell’arte della partecipazione e della comunicazione.

Certamente, contrapporre “render” (spesso illusori) non è utile anche se giornalisticamente è comprensibile. Non serve a nessuno e non aiuta a farsi un’idea precisa della questione. Anche se è difficile da digerire, lo strumento del disegno urbano e dell’infografica per raccontare i valori qualitativi e quantitativi del progetto sono essenziali, più della dialettica sui social, spesso inquinata e faziosa. Nessuno ha l’esclusiva sulla verità, si procede per successivi avanzamenti, aggiungendo e sottraendo. Ma ascoltandosi.

Non rinuncerei a riconnettere le parti della città, non rinuncerei all’ibridazione tra storicità e modernità, non rinuncerei alla sostenibilità (pensando ai milioni di metricubi di materiale da smaltire), ma soprattutto non rinuncerei alla possibilità di rendere trasparente ed evidente il dibattito tra i centri di potere del territorio, pensando al sistema Malta-Siracusa-Augusta-Catania-Taormina-Messina-Reggio Calabria e nell’altro verso al vettore Catania-Palermo: la città di levante e quella di Ponente. Alla Sicilia intera intesa come una megalopoli del Mediterraneo, fatta di urbanità, di connessione e di paesaggio.

Certamente, ci sono tante altre cose da demolire, proprio nell’area del porto, forse anche prima e subito. Ma restiamo in attesa di un confronto pubblico – con ipotesi e progetti – e di un piano complessivo, da Ognina all’aeroporto, magari approfondendo proprio il tratto che caratterizza la porzione storica della città.

Ma è più facile per gli abitanti di socialandia pensare di dire si o no. Una cosa è certa, certi perimetri in città infastidiscono, sia quelli fisici che quelli metafisici. Su questi perimetri bisogna lavorarci, a partire dalla mancanza di autorevolezza – su molte questioni – di alcuni istituti democratici, che lascino lo spazio all’istintualità emotiva, anche nelle “cose” di governo. In attesa del primo ‘urban center’ per discutere e valutare apertamente e preliminarmente i processi di pianificazione in città.
C’è anche un altro pericolo, strisciante, la nostalgia, quel guardare solo dietro, per paura di affrontare il futuro. Nostalgia priva di spessore, superficiale, iconografica, vissuta senza la logica del metodo di lettura storico-critico. Quella delle figurine “Panini”.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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