Qualche settimana fa è stato inaugurato l’oratorio della chiesa di Santa Maria la Scala a Paternò.
All’interno di una delle periferie della città, in un quartiere “popolare”, distante dal centro urbano e soprattutto autocostruito. In pratica uno spazio urbano privo di pianificazione e quindi di servizi al cittadino. Case che lasciano – ogni tanto- lo spazio alle vie e agli slarghi. Case, solo case, una sull’altra, quasi a contraddire il disegno urbano degli anni ’80. L’esatto contrario di un’altra periferia, quella più nobile a nord della città, pianificata e attrezzata. In pratica un quartiere di serie B dove si stanno sperimentando nuove forme di essere città.
E come spesso avviene in questi casi la chiesa e il suo oratorio sono l’embrione del senso di città.
Negli anni passati ci sono stati alcuni tentativi di realizzare strutture collettive, come asili, parchi e strade. Non tutto è andato bene, anzi poco. Cantieri interrotti, promesse disattese e in cambio il quartiere fornisce alla città solo voti elettorali.
Gli unici presidi esistenti sono le scuole e le chiese.
Non è strano. Sono i due pilastri fondamentali, ma da soli non bastano. Servono strade asfaltate, illuminate e sicure; biblioteche, asili, parchi pubblici, campi per lo sport, strutture sanitarie e per la sicurezza, mercati, ma soprattutto serve una linea di mezzi pubblici per raggiungere il centro.
In questo deserto urbano, dove ognuno si arrangia come può, la chiesa ha promosso la costruzione di un’architettura da adibire a “oratorio”. Così come lo conosciamo da sempre, come luogo per incontrarsi, socializzare, crescere, studiare, fare comunità. Un prolungamento dell’aula liturgica, precedentemente realizzata. Tutto con fondi e procedure private, senza l’intervento dell’ente pubblico. Un seme piantato in un deserto di case, piccolo e prezioso. Pensato come un edificio etico e sostenibile, di legno e vetro, autosufficiente sul piano energetico.
La Fondazione Michelangelo Virgillito, la parrocchia, i fedeli e tanti altri sostenitori hanno reso possibile questo miracolo. Insieme alla determinazione di un parroco – Nino Pennisi – caparbio e determinato, pragmaticamente impegnato per la sua comunità, quella in cui lui stesso è cresciuto. Una squadra di tecnici che è diventata una famiglia, proponendo un modello di lavoro che funziona con efficienza, guidata dall’architetto e dal rappresentante dell’ufficio economico della parrocchia: rispettivamente Giuseppe Mirenda e Franco Finocchiaro. Un’opera inaugurata dall’arcivescovo Luigi Renna, che ha voluto approfondire le logiche del progetto con interesse parlandone con tutti gli attori di questo piccolo miracolo.
Per completare tutto, la comunità ha realizzato persino un campo di calcio per i ragazzi del quartiere.
Tutto con fondi privati, dei cittadini, che hanno offerto non solo soldi ma manodopera, pur di vedere quell’oratorio completo. Un esempio virtuoso, esportabile, che ha messo le basi per rigenerare il quartiere.
Si riparte sempre da questi casi per far rinascere una città. Forse la politica dovrebbe riflettere. In questo lavoro non si è perso un euro, si sono completate le opere, la gente è felice, e c’è ancora tanto da fare. Non tanto case, ma luoghi per la gente, per studiare e giocare, per curarsi e rassicurarsi.
Linee per raggiungere altri luoghi o per partire verso alte città. Disponibili per tutti: studenti, anziani, lavoratori e gente comune.
Tutto a partire da un piccolo oratorio di periferia. Un seme che germoglia nel deserto di cemento e asfalto di una parte di città che un tempo era attraversata da popoli di tutto il mondo, lungo quella via Fabaria che qualcuno fa finta di non vedere come opportunità per ritrovare l’identità.