Europa, ci siamo.
L’abbiamo immaginata, disegnata e raccontata persecoli. Un continente che ha il nome di una ninfa, venuta dall’oriente, sfuggita a Zeus che la insinuava.
Venuta da quella terra che oggi è uno dei baricentri dei tanti conflitti mondiali. Europa, unita, divisa, litigiosa, qualche volta vittima di sé stessa. Il più grande mercato delpianeta con la più alta densità abitativa. Desiderio nascosto di tutti, dall’oriente cinese a quello indiano; da quello arabo a quello della grande mela. Tutti la vogliono e piano piano tentano di controllarla con ogni mezzo. Adesso è incastrata da due conflitti – Ucraina-Russia e Israele-Hamas – e dalle emigrazioni. Con uno sguardo verso l’atlantico di Cristoforo Colombo e l’oriente di Marco Polo; attraversata dai Fenici, dai Greci, dai Musulmani; luogo di arrivo e di partenza. Luogo di ibridazione e di confronto.
Insieme di stati come fossero le polis greche, divise e unite nello stesso tempo, ancora piena di ferite che il nazi-fascismo ha scavato con violenza. Banchieri, multinazionali, il calcio, l’epoca bella dell’800. Un caleidoscopio di emozioni e memoria. Parigi, Londra, Madrid, Lisbona, Berlino, Praga, Vienna, Roma, Atene, Belgrado, Amsterdam. Città iconiche, romantiche, storiche, mitologiche. Anche questo è l’Europa.
Un continente con tanti porti, verso il mar Baltico, l’Atlantico e il Mediterraneo. Connessa e centrale, contraddittoria e snob. Aristocratica e rivoluzionaria, spirituale e secchiona. La culla del Cristianesimo, del monachesimo, dell’Impero Romano, di Augusto e Carlo Magno, la terra dei papi, delle crociate, del Rinascimento,dell’Impressionismo, della scienza. Madre della democrazia, incubatrice di viaggi e di leggende. Dentro tutto questo l’eterno conflitto tra nazionalismo ed europeismo. Tra autonomia regionale e centralismo burocratico. Una moneta, tante lingue. Celti, Sassoni, Slavi, Iberici, Franco – Tedeschi, Italo – Greci. Un paesaggio variegato, mutevole, dissonante. Mare e monti, pianure e altipiani, fiumi e laghi. Tutto dentro un solo continente, l’Europa.
Siamo chiamati – oggi – a disegnare una nuova armatura di governo, una nuova scena verso nuove prospettive. La BCE, la CommissioneEuropea, il patto Atlantico e i rapporti con Russia, Cina, Israele, mondo arabo, l’Africa e l’America. Siamo chiamati a risolvere le questioni – ormai improrogabili – sull’autonomia energetica, produttiva, estrattiva, commerciale e digitale. Siamo chiamati a definire le regole d’ingaggio sulla comunicazione, sulla gestione dei dati e sull’intelligenza artificiale. Questioni etiche, morali, politiche, strategiche, in relazione ai modelli di sviluppo che si vogliono perseguire. In gioco non c’è il colore della maglia che vince ma il progetto di Europa che si vuole realizzare. Ambientalismi? Catastrofismi? Guerrafondai? L’Europa deve andare oltre i suoi confini, chiudere con la logica della colonizzazione (culturale e politica) e intraprendere quella della cooperazione solidale. Autonomia, stabilità, competitività e solidarietà. Rispetto per i diritti fondamentali fuori e dentro il suo perimetro.
Ma cosa serve? Una classe politica consapevole di tale compito. Non estremizzata o ideologizzata, lontana dalla logica coloniale e rispettosa delle culture, delle diversità, della processualità. Il valore aggiunto di questo continente è la sua storia, la sua posizione, la sua cultura e la capacità che ha avuto nei secoli di accogliere e integrare le infinite diversità. Non servono né globalismi burocratici né localismi etnici. E per questo alcune parti dell’Europa devono essere pronte a diventare “ponti” tra culture, tra popoli, tra tradizioni ed esperienze. Immedesimarsi nell’altro, condividendo idee e buone pratiche.
Le isole sono quelle piattaforme strategiche utili per avviare i processi virtuosi di connessione, per immaginare un continente come un grande reticolo di risorse e opportunità. Votare, oggi, è il dovere dei cittadini d’Europa, quelli cresciuti con l’Erasmus. Votare significa dare un senso alla nostra storia, rispondere alle tensioni nazionaliste che costruiscono recinti. Votare significa essere europei, portatori di una cultura regionale utile alla condivisione e alla “crescita felice”. Europeismo e regionalismo. Due dimensioni entrambe indispensabili per perimetrare uno spazio – poroso – ma nello stesso tempo deterministico e autosufficiente. Non possiamo essere solo l’area di parcheggio o il parco giochi di chi ci vede solo come ex colonizzatori. L’Europa s’è desta In fin dei conti siamo i discendenti di quegli intellettuali che viaggiavano in Europa nel ‘700 per narrare e raccontare le sue bellezze al mondo, per imparare e progredire. Torniamo curiosi e appassionati.