«Sono stanco, non ho più voglia di parlare. Lo faccio da oltre 30 anni ma non cambia nulla. Adesso la mia speranza sono i giovani, quelli che incontro ogni giorno per portare loro il testimone della memoria. Credo in loro, nella capacità dei ragazzi di cambiare le cose, di cambiare questa terra martoriata».
Giuseppe Costanza, l’autista del giudice Giovanni Falcone, sopravvissuto all’attentato di Capaci del 23 maggio del 1992, in cui persero la vita oltre allo stesso magistrato, anche la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, consegna all’Adnkronos il suo amaro sfogo. «Sono rassegnato – dice -, francamente non mi va più di rilasciare interviste, tanto non serve a niente se non a riempire le pagine di qualche giornale o a coprire mezz’ora di trasmissione tv in occasione di ogni anniversario della strage. Poi tutto ritorna come prima. E’ un copione che si ripete identico da 32 anni e io sono stanco e amareggiato».
Lontano da sempre da passerelle e riflettori, domani l’autista scampato al tritolo di Cosa nostra non parteciperà alle celebrazioni ufficiali. «Sono giorni tristi per me. Riaprono una ferita mai del tutto rimarginata – dice -. Non voglio fare polemiche, la mia è una presa di coscienza, personalissima: oltre le parole non resta nulla. Mi sono reso conto che da un po’ di tempo a questa parte tutti vogliono fare antimafia, ma se mi chiedesse chi realmente la fa le direi che ancora non l’ho capito». Per molti anni Costanza, che nel 2022 ha creato una fondazione che porta il suo nome per `fare memoria´ e portare la testimonianza di quello che è accaduto soprattutto tra i ragazzi delle scuole, è stato dimenticato. «Quasi come fosse una disgrazia il fatto di non essere morto», disse per lungo tempo.
«Ancora oggi, forse, do fastidio, forse sono il nemico da abbattere. Ma io con l’antimafia non ci devo guadagnare». Stanco di microfoni e di interviste. Di passerelle, di promesse a cui non seguono i fatti. Ai ragazzi, però, l’uomo che negli occhi e nel cuore porta il ricordo del giudice Falcone non rinuncia. «A loro consegno il mio testimone. Perché possano fare quello che in questi 32 anni ancora non è stato fatto. A loro dico: `Non mollate´. Io non mollo. Sino alla fine. Ma di parole oggi non ne ho più».