Con la messa dell’aurora, nella cattedrale di Catania, inizia quella parte della festa di Sant’Agata che rappresenta una delle più sentite liturgie urbane nel mondo.
La basilica catanese è ricolma, come d’altronde la “magna platea” dominata dalla scultura dell’elefante, quella disegnata da Gian Battista Vaccarini. Immersa in una folla di uomini e donne di ogni età, tutti vestiti di bianco, il simulacro della santa si fa strada tra i fedeli per raggiungere l’inizio del suo viaggio, verso il mare, lungo un perimetro esterno, come per segnare i limiti della città.
I fazzoletti bianchi sventolano senza pausa come ali di colombe, tra lacrime e speranza. Devozione e fede. Tradizione e dogma. L’Arcivescovo di Catania, durante la sua omelia è stato chiaro, nessuna confusione tra tradizioni e rappresentazioni pagane e l’esperienza della fede cristiana. Una ferma condanna a chi “usa” la festa per esercitare pratiche che afferiscono più alla cultura della superstizione (anche mafiosa) che la spiritualità della festa. Un monito preciso e deciso.
In questo senso, anche le contaminazioni culturali tra paganesimo e cristianesimo nella rappresentazione della festa, devo essere chiarite. Semplificando, per evitare fraintendimenti, una cosa è l’esperienza del divino e un’altra è la rappresentazione del divino. Spesso, alcune esperienze sono prevalentemente descrittive della natura divina (Demetra, Iside, ecc.) mentre altre sono portatrici di azioni divine (cristianesimo, ecc.) che introducono il ritorno, dopo la morte, il perdono, come esperienza in evoluzione e l’amore come modalità di vita. In questo senso, la rappresentazione del divino/sacro si preoccupa di capire quando, come e perché abbiamo raccontato il nostro rapporto con il mistero, il trascendente, il desiderio di comprendere quel logos indecifrabile che percepiamo come Dio.
In questi giorni l’interesse è rivolto a cogliere la testimonianza di Agata martire. La sua vita di fede, narrata dai documenti e dall’arte, diventata liturgia e ritualità. Quella liturgia e quella ritualità che diventa urbana, che racconta una storia nella città, per la città. Con il suo percorso interno ed esterno. Ricco di segni, simboli, spiritualità e fede. Dalle telecamere delle televisioni si coglie l’aspetto scenografico, la dimensione pittorica, la consistenza che satura lo spazio, ma dentro quel corteo regale, dentro il sentiero umano, lungo le vie c’è commozione, consapevolezza, speranza e gioia.
Il teatro di tutto questo è la città di Catania, stracolma di turisti, di fotografi, di media internazionali. Una festa che potrebbe apparire un “carnevale” ma al contrario è il momento del ricongiungimento dal popolo etneo con il divino. Un patto che si ripete da secoli, un impegno a diventare Agata nella fede. Un percorso di cristianità che già dal III secolo caratterizza la città che vive sotto il vulcano, bagnata dal mare. Quella città che più volte muore e sempre rinasce.
I dolci, le feste in casa, il saio, gli abbracci. L’attesa, gli incontri, i fiori. Sacerdoti, politici e tutta la gente insieme. La festa dell’incontro, della rinnovata promessa. Non un eroe greco, ma un testimone di fede. La città prende forma dalla festa e la festa prende forma dalla città. Attraversare, segnare, sostare. La musica e la preghiera, le luci e i colori. Un percorso che sfiora altre chiese, altri campanili, lungo antiche mura, per celebrare luoghi e vicende. Non è solo un pellegrinaggio, non è solo un percorso ma il segno di una storia di cui la città è testimone. Un percorso che cambia la sua forma nel tempo in funzione degli eventi della natura, come quella provocata dai terremoti e dalle eruzioni.
Una festa che è anche un libro di storia. Narrata e vissuta. Plasmata e soggiogata. Qualche volta strumentalizzata, ma sempre testimonianza di spiritualità viva. Quest’anno, al museo Diocesano di Catania, è possibile vedere anche la copia della lapide funeraria di Iulia Florentina, la bambina di Hybla Major-Paternò, sepolta proprio nel cimitero dei santi di Catania per condividere con Agata e Euplo, la santità. Anche lei testimonianza di fede (familiare). Una storia che intreccia altre storie che diventano città, che diventano forme abitate. Una festa che emoziona l’anima di tutti. Cittadini, viva Sant’Agata e seduti nel caffè del duomo possiamo gustare i “minni” di Sant’Agata, un dolce meraviglioso, narrato mirabilmente da Giuseppina Torregrossa nei suoi romanzi e che è diventato un’icona della città di Catania insieme “o liotru”.
Non ci resta che andare incontro ad Agata, lungo le strade, in quella piazza Cutelli che era il confine a levante della città di Catania, come Calogero Salvatore ci ha raccontato spesso nelle sue relazioni. Città e santi. La forma diventa rappresentazione, essa stessa, del divino, metafora cosmologica, teatro della vita.