Nell’ultima intervista televisiva a Enzo Biagi il 28 dicembre 1983 Pippo Fava aveva denunciato ancora una volta la connivenza tra potere politico e mafia:
«I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Tutto parte dall’assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana e forse anche della nostra democrazia». Una settimana dopo Pippo Fava venne ucciso. La sera del 5 gennaio 1984, 40 anni fa, vicino al teatro stabile di Catania, fu abbattuto con cinque colpi di pistola alla testa: la voce più scomoda dell’informazione siciliana aveva appena lasciato la redazione della rivista I Siciliani, che aveva fondato e diretto. Aveva 59 anni.
Fava rivendicava di essere mosso da una visione alta del proprio ruolo: «Ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che, in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente in allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo».
Non solo giornalista di forte impegno civile, Fava era anche scrittore, saggista, drammaturgo. Una delle sue opere più note, «La violenza: quinto potere», era stata portata sullo schermo da Florestano Vancini. Nel 1976 Luigi Zampa aveva tratto un film dal suo romanzo «Gente di rispetto».
Fino al 1980 era stato redattore capo di Espresso Sera e firma di varie testate tra cui i settimanali Tempo e Domenica del Corriere. Quindi aveva assunto la direzione del Giornale del Sud per il quale aveva formato una redazione di giovani cronisti che, dopo il licenziamento di Fava seguito dalla chiusura della testata, lo hanno seguito nell’esperienza de I Siciliani contribuendo a scrivere una pagina importante di giornalismo di inchiesta e di denuncia.
In questa fase della sua vita professionale Fava aveva affrontato temi come le collusioni tra Stato e mafia, il potere criminale della cosca di Nitto Santapaola, gli interessi dei comitati d’affari di Catania, il ruolo dei cavalieri del lavoro. Malgrado qualche voce avesse cercato di sostenere ipotesi riduttive sul movente del delitto, quelle storie sono diventate temi fondamentali del processo che si è dovuto confrontare anche con operazioni di depistaggio a opera di falsi pentiti. E solo dopo avere sventato vari tentativi di inquinare la verità, il giudizio si è concluso con la condanna all’ergastolo dei boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, esponenti della cosca mafiosa che Fava aveva indicato come il centro di un complesso sistema nel quale si incontravano mafia e poteri politici ed economici.
Venerdì il giornalista e scrittore sarà ricordato a Catania in via Fava, davanti alla lapide dove alle 17 si concentrerà il corteo proveniente da via Roma. Alle 18 al Centro culture contemporanee Zo, in piazzale Rocco Chinnici, si terrà il dibattito, moderato da Luisa Santangelo, «Fare (non solo) memoria», al quale interverranno Sebastiano Ardita, Pierangelo Buttafuoco, Claudio Fava, Michele Gambino, Francesco La Licata. E verrà consegnato a Francesco La Licata il Premio nazionale di giornalismo «Giuseppe Fava – Niente altro che la verità. Scritture e immagini contro le mafie».