Futuri, la magia della sorpresa

Cosa faremo il prossimo anno? Cosa ci aspetta? Queste ultime ore del 2023 saranno dedicate a fare bilanci, a tirare le somme, a guardarci dentro. Rimpianti, recriminazioni, forse anche il desiderio di continuare o confermare quanto già fatto. Ognuno di noi ha sentimenti contrastanti. Da una parte la voglia di novità e dall’altro la paura di essere delusi dalle stesse novità. Ma il mistero dell’ignoto e l’incoscienza del futuro ci attirano, persino ci ammaliano. Cosa sarà?

Certo è che il mondo, in questo momento, non fa sperare bene. Tra conflitti e cataclismi, tra rincari e delitti, siamo nella morsa di una storia poco rassicurante. Eppure, tra le macerie di questo tempo, c’è sempre un fiore, un germoglio, un albero che cresce, una speranza. C’è sempre, perché l’uomo per sopravvivere ha bisogno di costruire nuovi orizzonti, ha bisogno di “pensare” al futuro per migliorare la sua condizione di vita. Un lavoro che non parte da un semplice funzionalismo meccanico ma dalla necessità di emozionarsi continuamente.

Abbiamo bisogno di storie, di racconti, di leggende. Anche di speranze, di sogni, di fantasia. Ne abbiamo bisogno incessantemente. Schiacciati dalle razionalità ovvie, plasmati dalle oggettività scontate, dagli automatismi normativi, imbrigliati da codici binari senza fine; dentro questo mondo ovvio e scontato, dentro questa vita meccanica, c’è spazio per “cambiare le cose”.

Proprio in questo tempo di passaggio, tra l’anno vecchio e quello nuovo, tutto è possibile. Nuove prospettive, orizzonti luminosi, scenari inaspettati. In questo momento, la nostra mente, costruisce o meglio, ricostruisce ogni possibile azione. Rimodula, riformula, ricurva. E ostinarsi a rendere immobile ogni cosa, rigida e imperturbabile è un gesto contro natura, una rinuncia alla vita, quasi un trasformarsi in una tomba.

Questo è il tempo del cambiamento. Dell’apertura, della ristrutturazione, dell’innovazione. Dentro di noi, nel rapporto con la gente, nella definizione dei programmi. Dai piccoli nuclei familiari alle comunità politiche. Il tempo del passaggio è necessario – come liturgia – per analizzare quello che è stato fatto e per immaginare le cose nuove. Proprio in questo tempo, adesso, tutti. Dalle piccole cose a quelle grandi. Alcuni progetti vanno in soffitta, altri riemergano dalla memoria. Dentro questo rito non c’è solo una certa dose di razionalità ma spesso c’è quell’energia misteriosa che si chiama “sogno”. Tutti noi abbiamo un sogno.

Quel sogno bisogna inseguire, quella stella. Questo è il momento di disegnarla. I regali, babbi natale e befane, elfi e personaggi mitologici che portano regali sono solo la metafora di questa nostra tensione. Lo stupore e la consapevolezza che la ripartenza deve molto alla magia, a quel regalo, a quell’oggetto, a quell’idea che in questi giorni frulla nella nostra testa. Un giocattolo di legno, un libro, una stoffa, una campanella, qualunque cosa. Lo facevamo tanto tempo fa, lo abbiamo fatto per secoli, dalle caverne, lungo i sentieri, nelle campagne fino ad oggi in città. Continuiamo a sognare nello spazio temporale di passaggio tra due tempi, il passato e il futuro.

Tutto può succedere. Ogni pronostico disatteso, ogni regola invertita. La magia della sorpresa. Anche nei rapporti umani, negli scenari politici, nelle partite di calcio. Questa è la magia del nuovo anno. Allora non ci resta che costruire.
Magari facendo la lista dei desideri possibili. Per esempio, chiudere tutte le vicende aperte, conflittuali, intrigate. Ritrovare il proprio tempo, gli spazi perduti, le passioni abbandonate. Riscoprire i luoghi che abitiamo, viverli, curarli e custodirli. Scoprire la storia, la nostra identità, le nostre radici, per comprendere il cosmo e le sue metamorfosi. Accettarsi, volersi bene, trovando equilibrio tra le cose. Per coltivare oltre che l’ecologia biologica anche quella culturale e spirituale. Rallentare, trovare il senso della strada, il piacere dello sguardo profondo, dell’emozione per un film, una poesia, una canzone. Ritrovarsi.

Ognuno ha bisogno di ritrovare una traccia perduta. Qualcuno si oppone, si appella, si dimena, ma spesso si perde e basta, rincorso, inseguito, oppresso da un tempo spietato, da desideri impossibili, da verità preconfezionate altrove. La questione morale ed etica, nella nostra vita, non sono funzioni opzionali ma essenziali. Lo dobbiamo alle giovani generazioni, lo dobbiamo a noi stessi (finiti nel tritatutto), lo dobbiamo ai nostri avi. Noi siamo i “babbi natale” di noi stessi, quelli che ci portiamo da soli i regali la notte, siamo anche le befane. Siamo noi a farci i regali, siamo noi a portare il carbone. E mentre il grano è custodito dalla terra fredda, mentre si nasconde dai pericoli del mondo, noi ripensiamo alle nuove primavere, immaginiamo i germogli vivi, sogniamo cieli azzurri e foglie parlanti. Riscaldati da un fuoco, intorno alla tavola, raccontando antiche leggende o leggendo un libro di fiabe.

L’augurio è che ognuno di noi trovi il suo progetto a portata di mano e che lo possa realizzare serenamente.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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