La Torre Normanna, simbolo della città di Paternò , è uno degli edifici più iconici dell’antica acropoli di Hybla. Posta sulla sommità, orienta il suo sguardo verso l’Etna e il Simeto, verso le vie di accesso al territorio provenienti da Adrano e Centuripe, controlla il fronte nord e quello ovest, da sempre. Avamposto, sin dall’antichità, a protezione delle terre a meridione fino a Siracusa, insieme a Lentini e Catania. Un presidio che ha radici sacre con declinazioni politiche. Una torre di guardia, uno scrigno misterioso, che nasconde ancora tanti enigmi.
Cosa si nasconde sotto questo Donjone, nelle sue profondità inesplorate (in parte)? Quali “Dei” hanno la loro dimora dentro le sue viscere di origine vulcanica? Considerando, tra l’altro, che alcune rappresentazione storiche lo ritraggono circondato da “fumarole” sulfuree almeno fino al XVII secolo. Cosa nasconde la cappella di San Giovanni, con le sue pitture enigmatiche e controverse?
Se Federico II, nel 1221 e nel 1223, nei rispettivi solstizi estivi lo visita, ci sarà un motivo che trova una risposta possibile nella necessità di “inventare” un orologio solare con l’aiuto di Riccardo da Lentini – l’architetto di Federico II – sotto l’influenza culturale e astrologica di Fibonacci e Michele Scoto (Michael Scot) – figure determinanti dell’architettura federiciana.
Una torre che finisce i suoi fasti a metà del XV secolo, dopo che la famiglia Moncada la trasforma in carcere, fino a diventare un rudere pittoresco e romantico, infestato dai fantasmi e abitato negli anni ’60-’70 dalle pecore. Una fine ingloriosa, attribuito prima al governo della città e successivamente alla Regione Sicilia; oggi gestito sia dall’ente locale che da quello regionale con attribuzioni di competenze spesso sovrapposte.
Oggi questo luogo simbolo, legato alla figura di Ruggero – a cui si attribuisce la riedificazione nel 1072 – e che secondo la leggenda lo trovò infestato dai rovi che nascondevano due “draghi” meriterebbe più attenzioni, sia sul piano della ricerca che della sua riabilitazione funzionale. E appare importante riprendere la leggenda aurea secondo la quale Ruggero stanati i draghi, e avendone ucciso uno, insegue per poi finirlo, l’altra bestia fino a Lentini e questo ci spiega il profondo legame tra le due città, che non si esaurisce con la presenza di Riccardo da Lentini a Paternò e trova radici più antiche che vanno ricercate sia nella migrazione da Megara Iblea, verso Lentini fino a Hybla Major (Gereatis, ecc.) e nelle alleanze politiche e militari con sfumature religiose tra le tirannidi di Siracusa (VI-III sec. a.C.) e la città di Hybla – senza dimenticare l’acquedotto che approvvigionava l’acropoli i cui resti sono ancora in uso sotto di essa.
Ma la torre non sta bene, mostra i segni del tempo e denuncia con evidenza problemi strutturali e di infiltrazione, il suo quadro fessurativo (da parte a parte al primo piano) e il dilavamento in facciata (sud e ovest) sono i segni premonitori della sua malattia, mai diagnosticata. Il restauro degli anni ’70-’80 ha scarnificato la sua pelle (intonaco) come si evince dalle foto d’epoca, sull’onda di una visione pittoresca del restauro che doveva enfatizzare il rudere e la tessitura muraria anche quando questa non era stata realizzata per essere a vista. Esempi simili sono presenti anche nella chiesa di San Francesco sempre sull’acropoli.
Oggi dobbiamo pensare a modernizzare e rendere fruibile questo capolavoro, forse cercando anche il suo perimetro originale che certamente comprendeva il pozzo circolare posto a est della fabbrica normanna, quello individuato dallo storico Francesco Giordano (la prima ipotesi del qanat ampiamente presentata qualche anno fa). Le criticità più evidenti sono certamente quelle dell’impossibilità della fruizione da parte dei diversamente abili, del sistema di allarme (video sorveglianza), degli allestimenti museografici, della sua stessa narrazione, degli impianti elettrici e idrici (mancanti) dei servizi igienici e per finire della sua gestione.
Forse andrebbero rivisti gli accordi tra Regione Sicilia e Comune di Paternò, magari prevedendo impegni precisi in termini di risorse dedicate al superamento delle criticità prima descritte. Certamente riprendere una nuova campagna di scavi archeologici, di studi specifici e di approfondimenti multidisciplinari è urgente e indifferibile. Magari a partire dalle esplorazioni recenti fatte sull’orologio solare, su Riccardo da Lentini, Ruggero e Federico II non escludendo un progetto più ampio di ricerca (archeologica e storica) e trasformazione (architettonica e urbana).
Oggi non ci rimane che agire con gli strumenti che ci offre la realtà aumentata e quella virtuale per rendere più accessibile e fruibile questa torre (donjon). Strumenti e modalità che devono narrare la sua storia che spesso è velata e sconosciuta a tanti. Come una delle sue monofore al primo piano, realizzata negli anni ’70 da Francesco Minissi (restauro critico) e oggi nemmeno ricordata da un’etichetta; opera spesso presentata come antichità (sbagliato) oppure modernità incoerente (sbagliato), come nella migliore tradizione locale. Ma questa è un’altra storia.
Egregio Autore, Paternò ha anche e soprattutto altre cure e priorità. Iniziando a buttare fuori tutta la giunta Naso (bis) e tutto il Consiglio comunale composto da politici e personaggi incapaci e incompetenti