A volte ritornano. Mario Draghi, sin qui `riserva´ della Repubblica, viene ufficialmente promosso a `riserva´ dell’Unione europea, chiamato da Ursula von der Leyen a ridare forza a un’Europa che attraversa un periodo non semplice.
«Dobbiamo guardare avanti e stabilire come rimanere competitivi in questa fase – scandisce la presidente della Commissione Ue – per questo motivo ho chiesto a Mario Draghi, una delle grandi menti economiche europee, di preparare un rapporto sul futuro della competitività europea». Perché l’Europa, aggiunge la leader citando il famoso `whatever it takes´ dell’allora presidente Bce, «farà `tutto il necessario´ per mantenere il suo vantaggio competitivo». Draghi, inevitabilmente, risponde presente. Il futuro dell’Unione europea sta a cuore all’ex premier, consapevole che il mancato protagonismo del Vecchio continente nelle grandi sfide internazionali può indebolire sempre più l’Ue e i suoi cittadini e deciso a portare nel breve periodo sul tavolo della Commissione proposte «concrete e autorevoli».
Qualche idea sul contesto nel quale muoverà i primi passi il lavoro commissionato da von der Leyen si può trarre dal recente editoriale firmato da Draghi sull’Economist. L’Europa, è il ragionamento dell’ex presidente del Consiglio, si trova ad affrontare una serie di sfide sovranazionali che richiederanno investimenti consistenti in un arco temporale ristretto. Al momento, però, «non dispone di una strategia federale per finanziarli e del resto le politiche nazionali non possono farsene carico perché le regole fiscali e le regole per gli aiuti di stato limitano la capacità dei Paesi di agire in modo indipendente». In assenza di un’azione incisiva, insomma, secondo l’ex numero uno di Francoforte, il rischio è che l’Europa perda terreno, sul piano industriale, a tutto vantaggio di aree del mondo meno inclini a darsi regole e vincoli. Il ritorno di `super Mario´, che incassa prontamente gli applausi di Azione, Italia viva e Più Europa (mentre per il Pd l’unica voce è quella di Piero De Luca: «È un motivo di orgoglio per tutti noi e uno stimolo a continuare il cammino intrapreso in questi ultimi anni per un’Europa sempre più solidale, forte e dinamica», dice), viene accolto, invece, da un rumoroso silenzio in casa del centrodestra. Tra le trattative sul Pnrr, quelle sulla riforma del Patto di stabilità e crescita e il `muro´ di Francia e Germania sui migranti, i rapporti tra il Governo di Roma e quello delle istituzioni comunitarie vivono (di nuovo) un momento di difficoltà. Avere Draghi di nuovo sulla scena Ue (Carlo Calenda lo `opziona´ anche quale presidente del Consiglio europeo) non era certo previsto nella strategia europea di Giorgia Meloni, decisa a fare «l’impensabile» anche a Bruxelles. In serata, però, nel salotto di Bruno Vespa è la premier stessa a rasserenare il clima: «C’è chi tende a vedere ogni mossa come se andasse contro il mio governo, ma Mario Draghi è uno degli italiani più autorevoli, presumo che possa avere un occhio di riguardo per la nostra nazione, io la considero una buona notizia», dice chiaro.
Dello stesso avviso Antonio Tajani: «Mario Draghi è una risorsa della Repubblica – spiega – Credo che farà sicuramente bene il lavoro che gli ha affidato Ursula von der Leyen». Meno generoso Matteo Salvini: «Cosa penso del ruolo affidato a Draghi da von der Leyen? Non penso. Buona fortuna», si limita a dire. In realtà per Meloni e compagni arriva un’altra doccia fredda dai palazzi dell’Ue. Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo, in replica al discorso sullo stato dell’Unione di von der Leyen ringraziaáIratxe García, presidente di S&D, e Stéphane Séjourné, presidente di Renew Europe, «per la nostra proficua collaborazione in questi momenti cruciali. Il motore politico dell’Europa funziona! La maggioranza von der Leyen ce l’ha fatta!», è la sottolineatura che benedice la `coalizione Ursula´ e sa di dietrofront rispetto alla possibilità di lavorare a un’alleanza con i conservatori in cerca di una nuova maggioranza nella nuova consiliatura. La premier predica cautela. Governare a tutti i costi non è mai stato l’imperativo a Roma e non lo sarà a Bruxelles:
«Una coalizione con i socialisti in Ue? È molto difficile, non l’abbiamo fatta in Italia non vedo perché in Europa. Ma questo dibattito sulle alleanze e le coalizioni è molto prematuro. Mi interessa che in futuro il ruolo dell’Italia non sia marginale, e mi auguro che tutti i partiti della coalizione alle Europee possano crescere. In Europa le alleanze si fanno dopo il voto», insiste. Certo, verso l’Ue si fanno sempre più pesanti gli attacchi di Matteo Salvini: dai migranti alle auto elettriche, dalla guerra in Ucraina al Brennero il leader della Lega punta il dito contro Bruxelles. Sulle alleanze, poi, il vicepremier tira dritto: «Marine Le Pen oltre che un’amica rappresenta il primo partito di Francia – insiste -. I numeri di oggi e dell’anno prossimo ci dicono che l’unica speranza per non avere i socialisti in Europa è di mettere insieme tutti i movimenti alternativi alla sinistra. Questa Europa a parole non piace a nessuno. Le Pen perché? Non mi rassegno a un’Europa in declino con culle vuote e barchini pieni».