La giornalista Adriana Pannitteri, volto noto del Tg1, ha da poco concluso il tour siciliano di presentazione del suo ultimo libro “Raffaella Carrà, la ragazza perfetta” che ha toccato, tra le altre, le città di Messina, Santa Ninfa e Riposto.
Nell’intervista rilasciata al Corriere Etneo il racconto della sua infanzia in Sicilia, la passione per Raffaella Carrà e l’impegno contro il femminicidio.
Adriana Pannitteri, com’è tornare in Sicilia?
Io ci torno spesso, quasi ogni anno in realtà, perché ho i parenti a Paternò in provincia di Catania, la città dove sono nati i miei genitori. E poi perché spessissimo torno a presentare i miei libri in Sicilia perché qui mi batte il cuore, questa terra è presente in alcuni dei miei racconti, ne La forza delle donne, che è un piccolo romanzo sulla vicenda di Giordana Distefano, una ragazza uccisa con quarantotto coltellate, di cui io racconto la storia attraverso la voce della mamma, e c’è anche, in parte, in Cronaca di un delitto annunciato e in Madri assassine. Insomma c’è sempre molta Sicilia nei miei libri e nel mio cuore.
Quali ricordi la legano a Paternò?
Il mio papà riposa nel cimitero di Paternò, mentre la mia mamma vive a Roma. Ho vissuto da bambina, per un periodo abbastanza lungo, con i miei nonni e i miei zii proprio a Paternò perché mia madre non stava bene. Ricordo perfettamente la magia delle passeggiate nell’aranceto mano nella mano con mio nonno e le volte in cui mi portava alla bottega nella piazza a riempirmi le mani di caramelle. Era un nonno molto affettuoso. La Sicilia è veramente per me un posto dove mi batte il cuore, e ogni volta che ho l’occasione di tornare per presentare i miei libri ne scopro un pezzo che non conoscevo. Ad esempio, ho fatto una presentazione a Santa Ninfa, nel trapanese, dove non ero mai stata. Si scoprono pezzi di questa terra sempre molto diversi uno dall’altro. Sono stata qualche giorno fa a Siracusa per lavoro dove ero stata tanti anni fa e l’ho trovata spettacolare. Purtroppo in questi giorni è bruciato tutto, ma speriamo che non accada più.
Perché proprio Raffaella Carrà?
Mi sono sempre occupata di altre tematiche un po’ più drammatiche, ma grazie alla mia amica e collega Cinzia Perreca, con la quale ho poi realizzato uno speciale Tg1, un documentario di un’ora proprio su di lei, mi sono imbattuta in Raffaella. Cinzia è di Porto Santo Stefano, dell’Argentario, che era il luogo del buen retiro, il luogo del cuore, di Raffaella Carrà. E mi sono resa conto che è stata il personaggio, o forse la donna, più importante dello spettacolo negli ultimi cinquant’anni. Per cui a me che piace raccontare il mondo delle donne sembrava che mancasse un personaggio di questo tipo, che si può amare oppure no, ma che sicuramente ha segnato la storia della televisione. Lei ha caratterizzato prima la televisione in bianco e nero e poi quella a colori, e ha creato un filone quasi consueto, anche se all’epoca non lo era, con trasmissioni come Pronto Raffaella in cui si riusciva a miscelare il gioco, il famoso barattolo di fagioli tanto criticato, con le interviste a personaggi eccellenti come Madre Teresa di Calcutta. La sua capacità di fare questo mix ha fatto secondo me da apripista per altre trasmissioni. Trovo che sia il personaggio più completo della televisione italiana e tra i più completi anche all’estero.
Qual è la caratteristica che più d’ogni altra le ha permesso di entrare nel cuore degli italiani rendendola così iconica?
Secondo me la sua capacità di presentarsi come una donna appassionata. Lei aveva passione per il suo lavoro e per i suoi amici. E questa sua passionalità trapelava e attraverso questa riusciva ad essere amata un po’ da tutti, da bambini, da adulti, dalle donne, che poi magari molto spesso vedono le altre donne come rivali, invece lei riusciva a non generare nelle sue colleghe rivalità. Aveva un pubblico estremamente trasversale, anche dal punto di vista culturale. L’hanno amata persone semplici e persone intellettualmente molto più sofisticate. Ricordo che fu intervistata da Enzo Biagi, ma anche al David Letterman Show, e fu l’unica italiana negli Stati Uniti a rispondere brillantemente, in un inglese corretto, mettendo in difficoltà lo stesso intervistatore su alcune domande.
Ha lasciato solo una grande eredità o anche degli eredi?
Secondo me lei non ha lasciato eredi, paradossalmente. Perché come dice il mio amico e collega Vincenzo Mollica nella copertina del mio libro: “lei era unica e irripetibile”. E tutti quelli che hanno cercato in qualche modo di imitarla hanno ottenuto degli effetti un po’ flaccidi. Lascia però la sua stessa eredità, che non è fatta solo dai ricordi che ritroviamo la sera accendendo la TV quando c’è Techetechetè, ma è composta da tutto il mondo che ti resta dentro quando la guardi, che va dal Tuca Tuca a tutto il resto delle cose che ha fatto. Lei ha lasciato questa grande gioia di coinvolgere il pubblico che tanto amava.
Quanto manca agli italiani quel tipo di televisione?
Beh, la televisione è molto cambiata e il varietà è un po’ finito. Per cui è difficile immaginare che oggi ci possa essere una televisione com’era ai tempi di Raffaella. Però ti dico anche che per certi versi vedo un Fiorello, che forse è l’unico erede al maschile della Carrà, riuscire a fare una TV moderna ma allo stesso tempo un po’ antica, e questo fa si che quel tipo di televisione non sia mai morta. Perché Fiorello è capace di cantarti una canzone romantica e allo stesso tempo fare il balletto e poi giocare sul filo dell’ironia, che poi è il motivo per cui lo amiamo tanto.
Venendo invece a dei fatti di cronaca di cui si è spesso occupata. Anche quest’anno ci sono stati decine di femminicidi…
Questo purtroppo è il mio grande tema, me ne sono allontanata con questo libro, ma me ne sono occupata tanto. Ho scritto due romanzi. In Cronaca di un delitto annunciato, liberamente ispirato alla storia di un ex carabiniere che aveva compiuto una vera e propria strage familiare, raccontavo cosa accade nella mente di un uomo che arriva a compiere delitti così atroci, mi interessava proprio capire come si arriva a quel tipo di involuzione psichica, perché di questo si tratta. Poi con La forza delle donne, che racconta la storia di Giordana Di Stefano attraverso gli occhi della mamma, Vera Squatrito, ho voluto scrivere un libro di testimonianza rivolto ai ragazzi. E me ne continuo ad occupare perché insieme al mio amico magistrato Valerio de Gioia, con cui ho già scritto In nome del popolo televisivo, sto già scrivendo un saggio sul femminicidio che dovrebbe uscire a novembre. È un tema che non si può lasciare da parte, su cui bisogna costantemente tenere i riflettori accesi.
Che taglio avrà il nuovo romanzo?
Sarà una raccolta di testimonianze frontali, storie vere, accompagnate in questo caso da valutazioni di carattere giuridico e da interventi di esperti e professionisti, come lo psichiatra e la responsabile del centro antiviolenza che, ciascuno nel proprio campo, racconteranno uno spicchio di questa realtà.