Ragalna ha la sua grande opportunità.
Questa cittadina incastonata tra l’Etna e il Simeto lungo una linea che da secoli attraversa il suo territorio potrebbe, con i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea e dalla Regione Siciliana, costruire un nuovo futuro. A partire dal Piano Urbano Generale (PUG) – di recente approvazione – e dalle risorse naturalistiche e produttive di cui dispone, può rilanciare un territorio che spesso è stato solo una “colonia” della vicina Paternò.
Non si tratta di riscatto da una condizione avversa ma di ricurvare la sua vocazione – agricola e ricettiva – in chiave moderna. L’autonomia amministrativa degli anni ’80 ha posto le condizioni per ripensare il territorio ma la mancanza di strumenti finanziari, l’assenza di un piano territoriale e quel fardello emotivo – sommesso ma presente – che rendeva distanti le comunità di Ragalna con Paternò hanno pesato nell’elaborazione di una vera strategia di rigenerazione. Oggi i tempi sono maturi per un salto di qualità, in relazione alla consapevolezza della comunità rispetto ai propri mezzi, alle proprie capacità, nel rapporto politico e culturale che deve intraprendere con Paternò, con l’energia della propria gioventù.
Per anni – diciamo tra gli anni ’60 e ’90 – è stata solo un feudo, una casina di caccia, un masseria estiva, un rifugio. Per anni è stata occupata, consumata, erosa da un turismo vorace e provinciale. Per lungo tempo sono stati consumati i suoi frutteti, i suoi boschi, le sue terrazze, senza un tornaconto infrastrutturale e strutturale. Ma in qualche modo era il “modus” prevalente che ha caratterizzato la trasformazione di tanti territori del meridione. Non era un fatto isolato, in altri ambiti, le modalità di abitare erano le stesse: consumo del suolo, sfruttamento delle risorse, spostamento della popolazione, egemonia culturale e politica. Forse se guardiamo molto indietro nel tempo, possiamo riconoscere alcune esperienze, persino della Sicilia al tempo dei Tiranni di Siracusa.
Ma il punto è che oggi possiamo ripartire con nuove condizioni, nuove visioni, con maggiore consapevolezza e quindi serve un esame di maturità.
La città di Ragalna deve e può ritrovare la sua via, ripartire dalla sua storia, ma soprattutto dalla sua vocazione primordiale: i boschi, i frutteti, il patrimonio naturalistico e ambientale, la sua appartenenza al territorio dell’Etna – patrimonio dell’UNESCO, la sua posizione strategica, utile per intercettare gli interessi del mercato globale e locale.
Si tratta, quindi, di strutturare un nuovo paradigma, un nuovo scenario. Una visione che collochi la città in uno spazio più ampio alla scala geografica. Per questo deve condividere con Paternò la necessità di potenziare il sistema della mobilità pubblica, con la nuova stazione metro di Paternò, con la ristrutturazione della viabilità Etna-Simeto, con la creazione di una stazione di connessione internodale (navette-bus-parcheggi) che possa riconnettere l’intera armatura urbana della città. L’accessibilità del suo territorio è una priorità come lo sviluppo di una dimensione Smart e Green delle sue strutture. Senza trascurare il potenziamento del suo sistema scolastico e sanitario: un’emergenza, una necessità. Ma questo può avvenire puntando su alcuni temi, su alcuni spazi iconici, come il villaggio San Francesco a sud e l’oratorio Don Bosco a nord.
Il sistema turistico ricettivo necessità di un nuovo carattere, quello afferente all’albergo diffuso (anche per dare un senso al patrimonio edilizio esistente) per evitare nuovi consumi di suolo, riconvertendo i grandi contenitori per localizzare strutture di eccellenza e di lusso; ma anche creare, nel suo vallone, un percorso naturalistico di grande attrazione che connetta l’intero spazio urbano. Ma non è possibile tutto questo se non si pensa alla produzione agricola, che ha bisogno di mercati (fisico e digitale), di logistica (stoccaggio e trasporto), di certificazioni e marketing.
La storia ci viene incontro per pensare ad uno storytelling territoriale:
le terre della regina, il cammino di Empedocle e Platone, le processioni di Santa Barbara, le niviere della chiesa, le colate laviche che hanno segnato la storia del territorio, la selva oscura, il mercato delle pelli, del legno e della cacciagione, le aquile, i falchi, le stelle. Un patrimonio di leggende, storie e filastrocche da cui ripartire per ricomporre l’identità perduta. Perché solo ripartendo dalla propria storia, dalle tradizioni – come quella dei ricami, dei dolci, delle conserve, dei manufatti, ecc. – si può riprendere un sentiero perduto ma sempre vivo nella memoria dei toponimi. Forse è necessario anche uno sforzo nella ricerca storica, nell’approfondimento della storia, che sembra essere anche in questo territorio anestetizzata, ereditata e mai studiata. Il suo nome, Ragalna, la sua forma, le sue connessioni, le sue ragioni per essere città.
Gli strumenti del Siru, del programma Ferst della Regione Sicilia, l’Aggregazione Urbana Ragalna Paternò sono un’occasione da non perdere e da non disperdere ma serve cinismo e lucidità. Serve una visione strategica condivisa e e visibile a tutti. Serve trasparenza e il coinvolgimento vero della nuova gioventù, degli intellettuali, dei professionisti, e di quell’imprenditoria viva e sana che questo territorio possiede. Non servono i vecchi sistemi, le furberie di un tempo, lo sciacallaggio e lo sfruttamento che ha impoverito la terra di Ragalna e non solo. Non servono il Gatto e la Volpe che a oggi sono il grande pericolo per Ragalna: questi mascherati potrebbero rovinare tutto.
Chi ha responsabilità dirette e rappresenta l’Ente Intermedio sappia riconoscere i virus che potrebbero infettare, anche per evitare che la mela di Ragalna o l’arancia di Paternò si trovino ad avere il verme dentro la polpa.